di Camilla Mantegazza
“E’ costoso. È inefficiente. Danneggia la statura internazionale degli Stati Uniti”. Così, sin dal primo giorno della sua presidenza, Barack Obama dichiarò che il carcere di Guantanamo, presidio nella lotta al terrorismo, avrebbe dovuto chiudersi. Cavallo di battaglia della sua campagna elettorale, il giorno seguente all’annuncio, Obama firmò un ordine esecutivo che imponeva la chiusura della struttura entro un anno. Ad oggi, il carcere risulta ancora aperto, funzionante e al centro di molte delle polemiche createsi intorno all’attuale presidenza o al suo Congresso.
La base nacque nel dicembre del 1903, dopo la fine dell’occupazione militare dell’isola di Cuba da parte dell’esercito americano, nonostante i cubani fossero usciti gloriosi da quella guerra. Ma la diplomazia statunitense ebbe la meglio nell’amministrare, a proprio vantaggio, il sempre fatidico dopoguerra. Controllo sulle tariffe doganali, divieto per il governo cubano di stipulare trattati internazionali senza l’approvazione statunitense, concessione agli Stati Uniti di basi militari nel territorio cubano. Tra queste, Guantanamo.
Guantanamo che, dall’11 gennaio 2002, sotto l’amministrazione Bush, è divenuto campo di prigionia per la detenzione di prigionieri catturati in Afghanistan e ritenuti coinvolti in attività terroristiche. Oggi la baia conta circa 150 detenuti, a dodici anni di distanza dai primi arrivi. La maggior parte di questi risultano privi di accusa e di processo. “I detenuti di Guantanamo rimangono in un limbo, le loro vite sospese da anni. Molti di essi hanno subito gravi violazioni dei diritti umani, tra cui la sparizione forzata e la tortura, ma l’accesso a un rimedio giudiziario è stato sistematicamente bloccato e l’accertamento delle responsabilità è stato minimo” ha sottolineato più volte Guevara Rosas, direttrice del programma Americhe di Amnesty International.
Sono i cosiddetti detainees gli ospiti di Guantanamo: detenuti senza alcuna dichiarata imputazione. Il paradosso, sembra voler sottolineare gran parte dell’opinione pubblica internazionale, è insito nella doppia natura del gioco statunitense in materia di diritti. Anno dopo anno, infatti, gli Stati Uniti, nella persona di Bush o di Obama, hanno continuato a proclamare il loro impegno per la difesa delle famose Convenzioni di Ginevra.
Se qualsiasi altro paese si fosse reso responsabile del vuoto di diritti umani rappresentato da Guantanamo, avrebbe certamente attirato l’attenzione e la conseguente condanna degli stessi USA. Condizione anomala quella dei prigionieri di Guantanamo: non essendo ufficialmente considerati come prigionieri di guerra, non sono sottoposti alla tutela dei principi sanciti dalla Convenzione di Ginevra. Doppi standard, a prescindere dal ruolo e dalla figura internazionale di prim’attore che gli Stati Uniti coprono a livello internazionale.
Numerose polemiche, scioccanti alcune. Si pensi all’impossibilità di Amnesty International di svolgere indagini imparziali e indipendenti su tutte le denunce di violazioni di diritti commesse nell’ormai tristemente famoso centro di detenzione. Si pensi alle dichiarazioni dell’aprile 2013 rilasciate al New York Times da Samir Naji al Hasan Moqbel, detenuto yemenita. Racconti di alimentazione forzata quelli di Samir, in seguito ad uno sciopero della fame. Racconti che non conoscono dignità e diritti umani, inenarrabili, inimmaginabili. E il 21 gennaio 2009 Obama ne aveva ordinato la chiusura. Il suo mandato è ancora lungo, il tempo per tradurre parole in fatti è reale e concreto.