di Francesca Radaelli
Il 22 ottobre 1964 Jean Paul Sartre rifiuta il Premio Nobel per la Letteratura, conferitogli dall’Accademia Svedese.
Il gesto, senza dubbio di grande impatto, viene compiuto da un filosofo che rappresenta il prototipo dell’intellettuale ‘impegnato’, sulla ribalta della scena politica internazionale. Fondatore, insieme alla compagna Simone De Beauvoir, della rivista Les Temps Modernes, autore di opere letterarie come La nausea (1938), Il muro (1939) e L’età della ragione (1945), padre dell’esistenzialismo francese, Sartre sosteneva con convinzione il ruolo dello scrittore come protagonista attivo nel dibattito politico nazionale e internazionale.
Nato nel 1905 e morto nel 1980, il filosofo vive nel pieno di un periodo storico dominato dal conflitto delle ideologie, dalla divisione del mondo nei due blocchi americano e sovietico, e attraversato dalle guerre di Vietnam, Corea, Algeria, dalle rivoluzioni cubana e cambogiana. Dopo aver militato nella Resistenza francese durante la Seconda Guerra Mondiale, inizialmente Sartre aderisce al partito comunista, sostiene Stalin e Mao, è amico di personaggi come Fidel Castro e Pol Pot (ben prima della rivoluzione dei Khmer Rossi). In seguito si allontana dai regimi totalitari che si rifanno al marxismo e approda a posizioni politiche di tipo anarchico, che lo rendono protagonista attivo del maggio francese nel 1968.
Ed è proprio nel suo essere una figura pubblica, attiva e protagonista della realtà politico-culturale contemporanea che sono da ricercare le ragioni del rifiuto del Premio Nobel.
Già quando iniziano a circolare voci su di una possibile assegnazione a lui del riconoscimento, Sartre prende carta e penna e scrive al segretario dell’Accademia in persona: “Per ragioni del tutto personali e per ragioni più obiettive, io non desidero essere nella lista dei possibili candidati e non posso né voglio accettare questa onorificenza, né nel 1964 né dopo“. A quanto pare, la missiva non viene mai aperta. In ogni caso, il 22 ottobre 1964 l’Accademia assegna ufficialmente il Premio Nobel a Sartre, “che per lo spirito di libertà e la ricerca della verità di cui ha dato testimonianza nelle sue opere, ha esercitato una vasta influenza sulla nostra epoca”. Di qui il “je refuse” pubblico da parte dello scrittore, che fa grande scalpore e ha una risonanza mondiale. Sartre lo affida a un’altra lettera all’Accademia, in cui si sofferma nel dettaglio sulle ragioni – “personali e obiettive” – della sua decisione: “Le ragioni personali sono le seguenti: il mio rifiuto non è un atto improvvisato. Ho sempre declinato le onorificenze ufficiali. Quando, dopo la guerra, nel 1945, mi è stata proposta la Legione d’Onore, ho rifiutato, sebbene avessi amici al governo. Allo stesso modo, non ho mai desiderato entrare nel Collège de France, come alcuni amici suggerivano. Non è la stessa cosa se io mi firmo Jean Paul Sartre o Jean Paul Sartre Premio Nobel. Lo scrittore deve rifiutare di lasciarsi trasformare in istituzione anche se ciò avviene sotto le forme più onorevoli come in questo caso. Le ragioni obiettive sono queste: la sola lotta attualmente possibile sul fronte della cultura è quella per la coesistenza pacifica delle due culture, dell’est e dell’ovest. Il confronto tra queste due culture deve aver luogo tra gli uomini e tra le culture, senza l’intervento delle istituzioni”.
In un’intervista uscita su Le Nouvel Observateur, Sartre spiega: “Se avessi accettato il Nobel, anche se a Stoccolma avessi fatto un discorso insolente, il che sarebbe assurdo, sarei stato recuperato”.Ovvero inquadrato e definito, cosa che il teorico della libertà di autodeterminazione dell’individuo non può accettare.
Forse alla base di un rifiuto tanto clamoroso e plateale ci fu anche una buona dose di narcisismo, inevitabile in un personaggio abituato ad essere al centro della scena. Ma sicuramente nessuno meglio di Sartre, che fu sì intellettuale impegnato, ma che si trovò anche – e inevitabilmente – a cambiare più volte la propria posizione politica col procedere della storia, poteva rendersi conto di quanto sia difficile imbrigliare l’essenza di una persona in una qualche ‘definizione’. Sia essa un’onorificenza, un’ideologia o peggio ancora una consacrazione. E, al di là delle implicazioni politiche e storiche dell’epoca, la riflessione di Sartre sul valore di onorificenze, titoli, sottotitoli, didascalie ed epiteti esornativi appare ancora attuale. Tutto scorre, la storia va avanti e a ognuno è data la libertà di cambiare il proprio modo di agire. Nessuno vieta a un Premio Nobel per la Pace di sganciare bombe su Paesi nemici, nulla impedisce a un Premio Nobel per la Letteratura di scrivere un cattivo romanzo.
Ritornando in seguito sull’argomento, alla domanda sul perché abbia rifiutato il Nobel Sartre risponderà così: “Ho rifiutato il premio Nobel per la letteratura perché rifiuto che qualcuno consacri Sartre prima della sua morte. Nessun artista, nessuno scrittore, nessun uomo merita di essere consacrato da vivo, perché ha il potere e la libertà di cambiare del tutto. Il Premio Nobel mi avrebbe innalzato su di un piedistallo allorché non avevo ancora terminato di fare delle cose, di esercitare la mia libertà, di agire e di impegnarmi in prima persona. Ogni mia azione successiva sarebbe stata futile”. E conclude: “Non sarò mai depositario del Premio Nobel, fin quando potrò ancora agire rifiutandolo”.