Carlo Alberto Dalla Chiesa, generale dei carabinieri protagonista della lotta al terrorismo aveva combattuto le Br con una nuova strategia: utilizzare i pentiti per smembrare la rete terroristica, scoprire rifugi, arrestare i militanti. Una strategia vincente che aveva visto l’appoggio della politica e della classe dirigente degli anni ’70, i terribili anni di piombo.
Quando il 3 settembre del 1982 Carlo Alberto dalla Chiesa, allora prefetto di Palermo, insieme alla giovane moglie Emanuela Setti Carraro cadeva sotto il fuoco di Cosa Nostra, il paese rimase sotto shock, meravigliato dal fatto che l’invincibile eroe della lotta al terrorismo cedeva alla potenza della mafia. Ma a differenza della lotta al terrorismo, Carlo Alberto qui era rimasto solo, isolato, indebolito da un appoggio politico solo di facciata.
Nando, il figlio di Dalla Chiesa, raccontò in un libro alcune confidenze degli incontri che il generale aveva avuto con i politici di allora. “La sensazione – ricorda Nando Dalla Chiesa nel libro “Delitto imperfetto” – è che la politica non appoggiò il generale Carlo Alberto Dalla Chiesa con la stessa convinzione e determinazione con la quale lo appoggiò durante la lotta al terrorismo”.
Emblematica la frase: “Mi mandano in una realtà come Palermo con gli stessi poteri del prefetto di Forlì”.
Anzi, per Dalla Chiesa si scelse proprio Palermo perché il generale era un personaggio scomodo, che aveva messo insieme tanti tasselli di un puzzle che nessuno aveva mai osato costruire, in particolare riguardo alle vicende terroristiche sul rapimento e l’ uccisione di Aldo Moro.
Dalla Chiesa, giunto in Sicilia, aveva rinunciato alla scorta. Voleva comunicare ai palermitani che si può sfidare la mafia praticando una vita normale. Andava nelle scuole, parlava ai ragazzi. Aveva colto che per battere la mafia servivano anzitutto campagne culturali. Lottare contro la mafia significa lottare contro l’ignoranza.
Così Wikipedia ricostruisce le ultime fasi della vita di Carlo Alberto Dalla Chiesa.
“Alle ore 21.15 del 3 settembre 1982 l’Autobianchi A112 sulla quale viaggiava il Prefetto, guidata dalla moglie, fu affiancata, in via Carini a Palermo , da una BMW dalla quale partirono alcune raffiche di Kalashikov che uccisero il Prefetto e la moglie Emaneula Setti Carraro.
Nello stesso momento l’auto con a bordo l’autista e agente di scorta, Domenico Russo, che seguiva la vettura del Prefetto, veniva affiancata da una motocicletta, dalla quale partì un’altra raffica che uccise Russo.
Per i tre omicidi sono stati condannati all’ergastolo come mandanti, i vertici di Cosa Nostra: i boss Totò Riina, Bernardo Provenzano, Michele Greco, Bernardo Brusca, Nenè Geraci”.