di Fabrizio Annaro
I terribili anni di piombo, i tempi dell’odio. Giorni ricolmi di bollettini di guerra che alternavano aggressione, pestaggi, scontri con la polizia, disordini, omicidi.
Era il 29 aprile del 1975, quando Sergio Ramelli, militante del Fronte della Gioventù, organizzazione di estrema destra, muore a seguito dell’aggressione subita 48 giorni prima per opera di militanti di Avanguardia Operaia, gruppo dell’estrema sinistra. Dopo circa un mese dall’aggressione a Ramelli, muore l’estremista di sinistra Claudio Varalli. L’elenco potrebbe continuare.
L’aggressione a Ramelli è terribile: gli aggressori usano le chiavi inglesi, le deposizioni al processo fanno venire la pelle d’oca. Le risparmiamo. A leggerle anche a distanza di anni, fanno sorgere un senso di pietà e di smarrimento. Una domanda sul significato e sui perché della violenza di quei giorni. Tutto inutile? E’ l’interrogativo sconcertante che ci assilla…
Una domanda che ci portiamo dentro soprattutto noi, i ragazzi che a quei tempi avevamo l’età di Ramelli, di Varalli, di Fausto e Iaio, la stessa età dei figli delle vittime delle Brigate Rosse e delle stragi del terrorismo nero.
Noi, i ragazzi cresciuti negli anni di piombo, senza Facebook e senza Internet, sedotti dall’impegno politico e sociale, ma senza risposta sul perché degli anni di piombo.
Forse una ragione possiamo individuarla: sta nel comportamento dei parenti delle vittime. Il loro perdono gridato sui media di mezzo mondo ha spiazzato i terroristi di ogni colore rendendo inutile la rabbia e il bisogno di violenza.
L’ho fatto l’anno scorso e lo farò anche quest’anno, passerò dai giardini dedicati a Sergio Ramelli, sono a Monza in via Calatafimi. C’è una lapide che ricorda il suo sacrificio e quelle di tutte le vittime del terrorismo. Una lapide che aveva generato qualche polemica. Polemiche, a mio avviso, vuote, inutili.
Come l’anno scorso anche quest’anno rinnovo il desiderio di dialogare con i ragazzi che oggi ricorderanno Ramelli e lo fanno con toni un po’ polemici ed aggressivi: sono convinto che il dolore procurato dalla violenza non si spegne per scelta politica o sventolando bandiere sbiadite dal tempo.
La forza del perdono, traguardo che pare irraggiungibile, è l’arma segreta e vincente che smorza ogni odio e fa risorgere la vita.