di Mattia Gelosa
L’URSS di Gorbaciov gli aveva appena concesso di effettuare riprese in loco per un film sull’assedio di Leningrado quando, il 30 aprile 1989, un attacco di cuore spense improvvisamente la vita e la carriera del grande Sergio Leone, allora sessantenne.
Figlio del regista Roberto Roberti (Alias Vincenzo Leone) e dell’attrice romana Bice Waleran (all’anagrafe Edvige Valcarenghi), Sergio nacque a Roma il 3 gennaio 1929 e grazie alle conoscenze dei genitori iniziò presto a entrare nel mondo del cinema: fu comparsa in Ladri di biciclette di De Sica e poi in molti film del genere peplum, divenuto di gran moda dagli anni ’50. La grande occasione verrà quando due immense produzioni hollywoodiane, quelle di Quo vadis? e Ben Hur, decideranno di girare alcune scene a Roma e affideranno a Leone il ruolo di aiuto regista.
Nel 1961 Sergio è quindi già maturo per poter girare il suo primo film, ancora un peplum, intitolato Il colosso di Rodi, anche se la vera svolta si avrà qualche anno dopo: quel genere è già in declino e forte è invece l’ascesa del western, al punto che Leone cambia subito rotta e inizia a pensare a sua volta ai pistoleri e alle polveri del Far West.
Nel 1964, ispiratosi a La sfida del samurai di Kurosawa e ad Arlecchino servitore di due padroni di Goldoni, il regista romano scrive e gira Per un pugno di dollari, film caposaldo del genere e che, in qualche modo, inizia a reinventarlo: scompaiono i pellirossa, morte e violenza sono mostrate senza pudore, i personaggi sono caratterialmente stereotipati e senza che vi sia differenziazione tra buoni e cattivi, mentre nell’aspetto non sono mai perfetti e impomatati come accade in America, ma sempre trasandati, vestiti di abiti sporchi, sudati e con barbe incolte. Leone seleziona anche attori esteticamente brutti e spesso con evidenti difetti fisici, in particolare legati alla dentatura.
Il film fu un successo clamoroso e inaspettato in tutto il mondo e lanciò subito sia il regista che il suo protagonista, il pistolero solitario e senza nome impersonato da Clint Eastwood: il binomio tornerà anche nei due film successivi, Per qualche dollaro in più (1965) e Il buono, il brutto, il cattivo (1966), quest’ultimo considerato tra i migliori film della storia del cinema.
Con questi tre lavori, noti come “trilogia del dollaro”, Leone diventa una star e un indiscusso maestro del genere, che ha continuato di volta in volta a uniformare al suo gusto: dialoghi brillanti fatti spesso di ironia e battute sagaci, visione mitica e favolistica della storia e del tempo, assenza di valori morali nei personaggi. Nuova anche la regia, che vanta inquadrature che spaziano dal campo lunghissimo al dettaglio e che crea col montaggio dilatazioni temporali che hanno reso immortali scene come quella del triello sul finale de Il buono, il brutto e il cattivo.
Sergio, però, vuole cambiare e nel 1967 gira C’era una volta il west, il film che doveva dare per lui l’addio al genere e che mostra in modo pieno di malinconia come ormai quell’epoca di eroi sia terminata con l’arrivo della modernità, rappresentata simbolicamente dal treno. Questo ennesimo capolavoro vanta un cast d’eccezione con figure come Claudia Cardinale ed Henry Fonda, qui per la prima volta come cattivo, e rimarca i temi cari al regista, soprattutto quello del mito e del tempo. Per il soggetto furono incaricati Bernardo Bertolucci e Dario Argento (ancora sconosciuto) e questo si vede nella trama, più complessa e meno fedele allo schema tipico del genere rispetto agli altri film.
La promessa intrinseca al film, ossia chiudere col western, viene però subito tradita e nel 1971 esce nelle sale Giù la testa, pellicola qualitativamente inferiore alle precedenti, ma che aggiunge toni politici alle tipiche tematiche del regista romano.
Leone, nel frattempo, lavora anche aiutando registi come Comencini e Carlo Verdone e dedica il tempo libero alla scrittura: ha in mente un’opera colossale che racchiuda tutta la sua essenza, ma che sia anche di un genere nuovo.
Dopo dieci anni di lavoro e preparazione nel 1984 porta nelle sale C’era una volta in America, film colossale di quasi 220′ che racconta, in ordine cronologico sparso, le vicende di Noodles e alcuni ebrei del quartiere popolare di New York. La pellicola, con uno splendido De Niro protagonista, entra subito tra i capolavori del cinema e rilancia il genere del gangster movie, divenendo un modello imitatissimo da registi di ogni provenienza. Sarà, purtroppo, l’ultimo lavoro del regista, che morirà mentre erano in corso i preparativi del film su Leningrado.
Nonostante abbia solo sette film all’attivo, Sergio Leone è considerato oggi uno dei più importanti maestri del cinema di tutti i tempi, apprezzato e omaggiato in oriente e da autori come De Palma, Scorsese e soprattutto Tarantino. A lui va il merito di aver reinventato un genere e anche di aver esaltato al massimo il valore di un altro immenso artista italiano: Ennio Morricone. Ma questa, come Ende, è un’altra storia.
Nel filmato la scena del triello sopra citata: