di Camilla Mantegazza
Un unico romanzo, e un premio Nobel ritirato 31 anni dopo, per mano del figlio, che dedicò la vita alla memoria del padre. È la storia di Boris Pasternak, morto in povertà, in condizioni degradanti e di isolamento il 30 maggio del 1960, scegliendo, seppur con velate costrizioni, la sua patria, al
denaro e all’ambito premio letterario: se avesse ritirato quel premio a lui rivolto “per gli importanti risultati sia nel campo della poesia contemporanea che in quello della grande tradizione epica russa” l’Unione Sovietica l’avrebbe estromesso dalla sua terra, confiscandogli le proprietà, seppur fortemente limitate.
Il 23 novembre del 1957 uscì in Italia e in contemporanea in tutto il mondo il primo grande best seller dell’editoria moderna: è Il Dottor Zivago, di Boris Pasternak. A pubblicare il romanzo, che sette anni dopo sarebbe divenuto un film famosissimo, fu un giovane editore italiano, il trentenne Giangiacomo Feltrinelli che mai, nella sua vita, conobbe l’autore del romanzo dalla grande fortuna. Una grande battaglia editoriale, fatta di lettere distorte, di guerre tra CIA e KGB, tra comunisti italiani e comunisti russi, tra editori e lettori.
C’era chi voleva quel romanzo -l’ala riformista del Pcsu, la CIA- tra gli scaffali delle librerie, come denuncia e conferma di un comunismo malnato e ormai malato. C’era chi si opponeva – il KGB, il Cremlino, parte considerevole dei comunisti italiani- , per tutelare la storia della Russia stessa, per non inficiarne l’immagine ufficiale. Siamo in piena guerra fredda e i libri altro non sono che armi di propaganda. Un’opera indifferente al socialismo e all’obbligo di inchinarsi alla Rivoluzione d’Ottobre.
Ma per Pasternak, sacrificare la sua opera piegandosi alla madre Russia sarebbe stato come commettere un crimine contro se stesso, i suoi valori e i suoi ideali. “Per un cieco gioco del caso il mio sogno si è realizzato, per quanto io forzosamente lo ostacolassi” scrisse Pasternak all’indomani della pubblicazione in Italia del suo romanzo, dalla semplice trama, ma dalla complessa contestualizzazione storica: la Rivoluzione di Ottobre, tra luci e ombre.
Nulla meglio di queste parole contraddittorie e paradossali potrebbero spiegare e testimoniare lo stato d’animo dell’autore nei confronti della propria opera: da un lato l’urgenza della scrittura unita all’esigenza pressante di mettere nero su bianco l’analisi puntuale di un cambiamento epocale, dall’altro la consapevolezza delle conseguenze che quella sua esigenza avrebbe avuto sulla propria vita e sulla vita delle persone care.
Ma nonostante tutto, come scrisse il giornalista e scrittore russo Il’ja Grigor’evič Ėrenburg, “morì contento, perché, almeno fuori, avevo pubblicato Il Dottor Zivago, e perché pensava di avere ragione”.