Era il 1° luglio del 1968 quando, sotto l’egida delle Nazioni Unite, Stati Uniti, Unione Sovietica e Gran Bretagna si sedettero al tavolo per la firma del Trattato di non proliferazione nucleare. Francia e Cina, possessori ad oggi di armi nucleari, vi aderirono nel 1992, mentre la Corea del Nord lo sottoscrisse nel 1985 ma si ritirò dal trattato nel 2001, in quanto sospettata di costruire ordigni atomici.
Mai vi aderirono Israele, India e Pakistan. 11 articoli, entrati in vigore il 5 marzo del 1970. 11 articoli dall’evidente significato politico: l’accordo così firmato avrebbe sancito una permanente situazione di disuguaglianza, stabilendo l’egemonia permanente delle due superpotenze.
URSS e USA, ancora una volta. Esso, infatti, prevedeva che gli stati in possesso di armi nucleari si impegnassero a non trasferire armi atomiche a chi non ne possedeva, prevedendo così la rinuncia al possesso di armamenti nucleari da parte di quegli stati che avrebbero aderito al trattato. Gli americani, insomma, rinunciavano per sempre al riarmo atomico della Germania –strategico tassello sul continente europeo-, in cambio della condanna sovietica del riarmo atomico cinese – i cui rapporti, a quest’altezza cronologica, andavano incrinandosi.
Un accordo riuscito ma basato su di un profondo errore di valutazione delle rispettive ragioni di fondo che favorirono il dialogo. I sovietici, infatti, ritenevano che gli Stati Uniti, profondamente fiaccati dall’estenuante guerra del Vietnam, attraversassero una fase di crisi, alla quale non sarebbero stati in grado di rimediare a breve termine. Agli occhi russi il processo di distensione statunitense altro non era che un segno di debolezza.
La realtà, però, disegnava ben altre prospettive: non debolezza, ma uso accorto della diplomazia per frenare i costi della gara nucleare e spaziale. Gli USA, come spesso accadde nella storia di quella guerra fredda che sembra oggi riaffacciarsi, si mostrarono più accorti e più abili nel giocarsi le armi della diplomazia. Rafforzamento del duopolio mondiale, sostenevano i vertici russi, questo l’obiettivo del Trattato di non proliferazione.
Così, mentre l’URSS puntava al rafforzamento della grande impresa –in questo caso degli armamenti-, gli USA lavoravano al rilancio tecnologico che avrebbe portato a quella rivoluzione che da lì a pochi anni avrebbe modificato per sempre la struttura delle relazioni internazionali. Il futuro non era più nell’impero militare. Il futuro era nella costruzione di imperi tecnologici. Gli USA ben presto lo capirono. E presto scardinarono le basi di quel duopolio in cui i russi avevano creduto di poter sopravvivere.
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