di Camilla Mantegazza
“Gorbačёv mi piace” disse Margaret Thatcher colpita dai modi diretti ed aperti, “ci si può lavorare”. Anche Shultz fu subito impressionato da Gorbačёv, “un leader dell’URSS completamente diverso da quelli che abbiamo conosciuto sin ora”. Nel campo socialista la sua elezione suscitò entusiasmo tra i riformatori “stufi della stagnazione e delle dimostrazioni di stupidità burocratica”, come scrisse un suo futuro collaboratore. “Finalmente, dopo vecchi leader malati, c’è una nuova speranza” notava il potente capo dello spionaggio della Germania dell’Est, Markus Wolf. “Sembra davvero un cambiamento epocale, finora ci siamo fatti del male da soli con la nostra incompetenza, ignoranza e autoincensamento”.
Sì, sembrava un cambiamento epocale, ma forse nessuno avrebbe immaginato che il 7 febbraio del 1990 Michail Gorbačёv, come segretario generale del Partito Comunista dell’Unione Sovietica, nonché come più alta carica dell’URSS, avrebbe annunciato la cessione del monopolio del potere. Elezioni multipartitiche, abolizione del partito unico. Da partito unico a partito tra i partiti.
In un suo discorso all’ONU Gorbačёv aveva articolato la più esplicita rottura con il marxismo-leninismo in favore di una visione pluralista di ciò che il sistema internazione doveva offrire a ogni nazione: “la libertà di scelta è un principio universale che non deve conoscere eccezioni”. Svolta storica, epocale, annunciata ma non realmente delineata nelle menti dei contemporanei.
Nel corso delle settimane successive quel clamoroso 7 febbraio, nelle 15 repubbliche facenti parte dell’URSS si tennero le prime elezioni libere, dichiarando così la propria sovranità nazionale. Prese avvio quella che fu poi definita come una “guerra di leggi” con il governo centrale di Mosca, ovvero il rifiuto della legislazione dell’Unione, dove questa si trovava in conflitto con le leggi locali, affermando poi il controllo sull’economie locali e rifiutando il pagamento delle entrate fiscali.
Riapprovarsi della propria sovranità, autonomia e identità. Una dopo l’altra, tutte le repubbliche riacquistarono la propria indipendenza. Il 12 giugno del 1991 le prime elezioni presidenziali: Eltsin vinse con il 57% dei voti le elezioni presidenziali per la carica di presidente della Repubblica Socialista Federativa Sovietica Russa.
La storia dell’URSS, iniziata nel 1922, si stava spegnendo. Un crollo strutturale, economico, finanziario, ideologico e culturale. Ormai, nel 1990, obbligato. Gorbačёv fu solo l’artefice di facciata di questo cambiamento, o, forse, l’uomo che, a differenza di tutti i suoi predecessori, non era spaventato dallo stato delle cose. Il modello occidentale aveva vinto, questo è stato il significato ultimo del 7 febbraio. Dei due mondi, ne rimaneva uno solo. L’America aveva così vinto quella sfida del bipolarismo, iniziata nel 1945.