di Fabrizio Annaro
Hiroshima 1945, 6 agosto ore 8,15 all’improvviso un boato, un calore infernale, un fumo denso, quasi tangibile. La tragedia. La bomba A, l’atomica, esplode in aria prima a 400 metri e, dopo qualche minuto, una seconda esplosione ancora più terribile, quando l’ordigno tocca il suolo. Non abbiamo sufficiente immaginazione per descrivere l’impatto, il fragore, il dolore, le urla.
A distanza di 70 anni da quella catastrofe, solo il silenzio e la memoria ci vengono in aiuto. Il silenzio e la memoria, insieme al rispetto verso un popolo che negli anni della guerra s’era esaltato contro lo “Zio Tom” per poi arrendersi e ritrovare nell’operosità e nell’intraprendenza economica il riscatto dagli effetti della grande guerra.
L’atomica, insieme all’olocausto degli ebrei, è stata la più grande tragedia umana. Una sciagura. “Solo così, – ha commentato un pilota americano, che quel giorno si trovava sull’aereo militare da dove è stata sganciata la bomba,– si poteva chiudere la guerra con il sol levante e convincere i giapponesi alla resa”.
La “resa”, parola sconosciuta nel vocabolario della tradizione culturale nipponica. Le autorità americane dichiararono che la potenza di fuoco riguardava esclusivamente obiettivi militari. Purtroppo le vittime furono per lo più civili: donne, bambini, uomini innocenti.
Le conseguenze furono terribili: 200 mila morti senza considerare le vittime seminate nei decenni successivi a causa della radioattività e delle bruciature. Dopo pochi giorni, il 9 agosto, tocca anche a Nagasaki fare esperienza degli effetti nefasti del terribile ordigno. Un sacrificio umano enorme, spropositato, ma forse, come dice il pilota americano, l’unico “metodo” per porre fine alla guerra. Non abbiamo controprove.
Forse si poteva pagare un prezzo inferiore? Nessuno può rispondere. La storia è una cronaca di vicende che esclude i “se” e i “ma.” Di sicuro, e a sorpresa, l’imperatore nipponico, considerato dalla cultura giapponese un’entità semidivina, opta per la resa e firma, nello sconforto generale capitola. Il Giappone si riprenderà con l’aiuto degli stessi americani e diventerà presto una grande potenza economica.
Dei piloti e dei militari americani si è detto tutto e il contrario di tutto. Ci vorranno ancora parecchi anni per scoprire la verità e sapere cosa la coscienza di quegli uomini abbia elaborato. Si sa che un militare americano è impazzito. All’inizio aveva deciso di devolvere la sua pensione alle vedove americane. Poi la clinica, le cure. Infine lo stato mentale che si chiama pazzia, il più grande dolore che trafigge l’anima umana. Un dolore rimasto scolpito nella storia che si aggiunge a quello infinito di migliaia e migliaia di giapponesi che con il loro olocausto innocente hanno segnato inevitabilmente la storia del sol levante.
Un dolore che ha lasciato il segno nella memoria e nella coscienza non solo dei giapponesi, ma dei cittadini di tutto il mondo. A Hiroshima c’è un museo che ricorda “la più grande esplosione della Storia umana” si chiama Museo della pace. Chi lo ha visitato ne è rimasto profondamente colpito.
Come Pasquale L. che su Trip Advisor ha scritto: “Un museo che fa rivivere i momenti più drammatici dello scoppio di una bomba atomica. Infatti mentre lo si attraversa, la moltitudine di persone resta in silenzio come ad ascoltare le grida di dolore dei sopravvissuti. Da visitare assolutamente per risvegliare le coscienze assopite.”
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