Il giorno 23 gennaio 2019 ci siamo recati al Palazzo di Giustizia di Milano a visitare la mostra intitolata “Schedati, perseguitati, sterminati”, sulle persecuzioni naziste nei confronti dei malati psichiatrici. La mostra, inaugurata nel 2014 a Berlino, ha toccato diverse città del mondo, giungendo a Roma nel 2017 e a Milano il 10 gennaio 2019. Grazie a testimonianze e reperti storici viene ricostruito il massacro delle persone ritenute malate o disabili sotto il nazionalsocialismo: nell’ambito della cosiddetta “Operazione T4” (dall’indirizzo della sede centrale a Berlino, Tiergartenstrasse 4), esse furono schedate, poi sterilizzate o uccise, per ordine di Hitler, con l’autorizzazione “a concedere la morte per grazia ai malati considerati incurabili secondo l’umano giudizio”. Dopo il 1945, i giuristi implicati nelle uccisioni si appellarono a questo documento per difendersi.
A partire dal 1934 furono sterilizzati contro la propria volontà 400,000 cittadino tedeschi di entrambi i sessi, affetti da presunte patologie mentali considerate ereditarie e incurabili. Tra il 1939 e il 1945 più di 200,000 persone ricoverate in ospedali psichiatrici tedeschi furono assassinate perché ritenute un inutile peso per la società tedesca.
Vengono mostrati anche i volti dei periti che selezionavano i pazienti da uccidere, immortalati con le proprie mogli poiché spesso coglievano l’occasione per fare delle gite turistiche. Tra i documenti esposti figurano anche le lettere di condoglianze con cui i parenti venivano informati delle morti, in cui erano inventate false circostanze del decesso.
Solo a partire dagli anni ’80 ebbe inizio l’elaborazione di quanto accaduto: nel 2010 la Società Tedesca di Psichiatria riconobbe ufficialmente la responsabilità della psichiatria tedesca per i crimini commessi.
Nella mostra infine trova spazio anche l’orrore italiano, con testimonianze della complicità di molti psichiatri di casa nostra.
Perché andare a vedere la mostra? Perché è qualcosa di cui ancora oggi l’opinione pubblica sa poco o nulla: viene infatti distorta la realtà quando ci insegnano che sotto il nazismo venivano sterminati i semplici “disabili” e “malati di mente”. Una qualunque diversità non era considerata un’occasione di confronto e crescita, ma un ostacolo alla costruzione della razza perfetta e obbediente. Assistendo alla mostra si scoprono storie che non immagineremmo, poiché i criteri di diagnosi erano ben diversi da quelli che potremmo concepire oggi. Moltissimi di quei “malati di mente” erano persone del tutto comuni per i nostri standard.
Non so se ho già vissuto veramente, perlomeno consapevolmente.
Sto ancora aspettando di vivere.
Sono stata soltanto malata di tanto in tanto, e repressa e inibita;
oppure libera e malvista.
Ma spero ancora di poter costruire la mia vita secondo i miei gusti, semplicemente vivendo da sola in questo popoloso deserto.
Irmgard Heiss morì a 47 anni stremata dall’inedia, nel 1944, in un manicomio.
Mi ha colpito questa poesia perché credo che un po’ tutti a volte si sentano “isolati e soli” perché vorrebbero vivere secondo il proprio modo di essere, tra tante persone che non lo comprendono.