di Mattia Gelosa
Una delle figure chiave del cinema è senz’altro quella del produttore: non semplicemente colui che paga, come si potrebbe pensare, ma un vero e proprio incubo per ogni regista, che deve costantemente confrontarsi con le sue decisioni su cast, location, sceneggiatura e soprattutto spese. Una sorta di enorme supervisore che deve saper prevedere il successo di un film e contribuire a ingrandirlo, deve pianificare l’uscita nelle sale, la distribuzione e i tutti i lavori preliminari al film e legati alle riprese. Pur con molti collaboratori, il produttore fa un lavoro immenso e alla fine, oltretutto, è quello che economicamente rischia in prima persona cifre spesso esorbitanti.
De Laurentiis, per fortuna, è stato un produttore di sguardo davvero acuto e dalla grande voglia di scommettere, a lui dobbiamo moltissimi capolavori del neorealismo italiano.
Dopo un inizio di carriera portato verso il ruolo di attore, Dino capisce subito che il suo posto è un altro e con L’ultimo combattimento di Ballerini inizia a lavorare alla produzione, spesso affiancato dal fratello Luigi.
Nell’immediato dopoguerra si trasferisce negli Stati Uniti, ma a lui si devono la rinascita del cinema italiano e la realizzazione di molte opere del neorealismo: citiamo come esempi Riso amaro di De Sanctis (1948), Napoli milionaria di De Filippo (’50) e La grande guerra di Monicelli (’59), Leone d’oro a Venezia.
Nel 1948 si lega in affari all’altro grande produttore italiano, Carlo Ponti, fondando la Ponti- De Laurentiis, sodalizio storico che firma capolavori come Europa ’51 di Rossellini e i due premi oscar felliniani La strada e Le notti di Cabiria, che diede diversi problemi con la censura, visto che la protagonista è una prostituta. Ladri di bicilette di De Sica (1947) è un altro film nato sotto il loro marchio.
Per tali film la Ponti – De Laurentiis aveva costruito alcuni studi propri, ma poi sulla via Pontina appena fuori roma nasce quella che venne chiamata “Dinocittà”, una vera e propria area di studi cinematografici, sfruttata anche da star americane come King Vidor per Guerra e pace (’56) o Bondarcuk per il suo Waterloo (’70) con Orson Welles.
Nel 1972, però, viene emanata la Legge Corona, che riserva i sussidi statali ai film che siano al 100% di produzione italiana (contro il 50% di prima) e De Laurentiis, che spesso aveva appoggi da colleghi esteri, si ritrasferisce negli USA per fondare la De Laurentis Entertainment Group, produttrice tra l’altro de I tre giorni del condor di Pollack e L’uovo del serpente di Bergman.
In questa fase di carriera De Laurentiis cambia genere e passa a produrre molti film legati all’horror di qualità e al thriller: La zona morta di Cronemberg (’83) e Unico indizio la luna piena di Attias (’85), entrambi da libri di Stephen King.
Lavora anche col visionario David Lynch per due dei suoi lavori migliori, Dune e Velluto blu del 1984 e 1986, per poi tornare all’horror col secondo film della saga La Casa di Sam Raimi.
In chiusura di carriera si pongono i tre film legati alla figura del terrificante dottor Lecter: Hannibal, Red Dragon e Hannibal Lecter- Le origini del male, quest’ultimo del 2007.
Nel 2003 riceve il Leone d’oro alla carriera e in quell’occasione dice la sua sul cinema italiano: “Il problema dei registi italiani è che vogliono fare i film con un occhio alla critica. Noi però siamo show-man e dobbiamo fare film solo per il pubblico. Ora voglio dimostrare al cinema italiano che ci sono grandi storie da raccontare. Ho voglia di tornare in Italia a lavorare per fare dei film che riescano ad uscire dall’Italia”.
Nel 2010 a Beverly Hills si spegneva un simbolo del cinema italiano, un produttore di quelli che ha sempre dimostrato un’enorme cultura cinematografica, ma soprattutto la voglia di scommettere, di dare fiducia alle novità e di offrire al grande pubblico opere di grande valore artistico.
De Laurentiis ci ha sempre creduto e si è messo in gioco con tutto sé stesso, è soprattutto per questo motivo che si è sempre rivelato un vincente.