A tredici anni in un tema scolastico aveva scritto che voleva fare il giornalista. Ci è riuscito nel modo che molti giornalisti sognano di realizzare: il più irreprensibile. “Immaginavo il giornalista come un “vendicatore” capace di riparare torti e ingiustizie […] ero convinto che quel mestiere mi avrebbe portato a scoprire il mondo”.
A diciassette anni il suo primo articolo appare su l’Avvenire d’Italia e a vent’anni la prima assunzione al Carlino Sera. Con lo scoppio della guerra aderisce alla Resistenza e, a causa dei suoi problemi cardiaci, viene incaricato di scrivere sul giornale partigiano Patrioti.
La prima direzione è stata quella di Epoca a cui Biagi ha saputo dare una nuova formula e soprattutto uno straordinario impulso ed è l’inizio di una lunga ascesa che lo vedrà approdare alla Tv. In Rai sarà per sua volontà che saranno assunti giornalisti del calibro di Indro Montanelli e Giorgio Bocca.
E’ comunque per molti un giornalista scomodo e non mancano gli attacchi e le pressioni di alcune parti politiche che lo giudicano, che gli impongono. Poco disposto a cedere a compromessi, lascia l’incarico di direttore del Tg per tornare a Milano e diventare inviato e collaboratore del Corriere della Sera, della Stampa e del settimanale Europeo. Tornerà alla televisione con programmi di approfondimento , attualità, interviste.
Delle numerosi trasmissioni televisive ricordiamo Il Fatto, un programma di approfondimento che andava in onda dopo il TG1 delle ore 20, sui principali fatti del giorno o con interviste a personaggi famosi.
Il 31 maggio 2002, l’ultima messa in onda, a seguito di quello che fu poi definito “l’editto bulgaro”. Biagi commentò così la decisione di Berlusconi : «Il presidente del Consiglio non trova niente di meglio che segnalare tre biechi individui: Santoro, Luttazzi e il sottoscritto. Quale sarebbe il reato? […] Poi il presidente Berlusconi, siccome non intravede nei tre biechi personaggi pentimento e redenzione, lascerebbe intendere che dovrebbero togliere il disturbo. Signor presidente, dia disposizioni di procedere perché la mia età e il senso di rispetto che ho verso me stesso mi vietano di adeguarmi ai suoi desideri […]. Sono ancora convinto che perfino in questa azienda (che come giustamente ricorda è di tutti, e quindi vorrà sentire tutte le opinioni) ci sia ancora spazio per la libertà di stampa; sta scritto – dia un’occhiata – nella Costituzione. Lavoro qui in Rai dal 1961, ed è la prima volta che un Presidente del Consiglio decide il palinsesto. Cari telespettatori, questa potrebbe essere l’ultima puntata del Fatto. Dopo 814 trasmissioni, non è il caso di commemorarci. Eventualmente, è meglio essere cacciati per aver detto qualche verità, che restare a prezzo di certi patteggiamenti. »
Il suo stile era semplice ed elegante, la sua ironia sottile e garbata. Fu un uomo di tante stagioni e di tante battaglie di forte impegno civile, celebrato come maestro del giornalismo italiano da molti, ma anche aspramente criticato da altri. Ha scritto anche numerosi libri, spesso trasposizioni delle sue celebri interviste ed inchieste.
Una delle sue figlie ha detto che lui che avrebbe voluto essere ricordato per quello che era: ”una persona onesta”.
Daniela Zanuso