A proposito di Rousseau

di Francesca Radaelli

Nei giorni scorsi il suo nome è stato sulla bocca di tutti, grazie alla ‘fortuna’ di essere considerato il teorico della democrazia diretta. Ma chi era veramente Jean-Jacques Rousseau?

Nato a Ginevra nel 1712 e morto nel 1778, undici anni prima della rivoluzione francese, il filosofo svizzero fu un illuminista sui generis. Nell’epoca dei lumi sostenne la dannosità della scienza e dell’arte, giudicandole colpevoli di aver ‘corrotto’ gli uomini, rimpianse nei suoi scritti lo stato naturale dell’uomo primitivo e l’epoca in cui non si era ‘animali sociali’ ma ciascuno bastava a se stesso, non esistevano legami sociali né proprietà privata né disuguaglianze, ma vigeva un equilibrio perfetto tra bisogni e risorse di ogni individuo. Ma fu anche il teorico del contratto sociale, grazie a cui l’uomo diventa cittadino, esce dalla dimensione dell’io particolare per identificarsi con quella dell’io comune, e diventa parte di una volontà che tende all’utilità comune. Suo è anche il concetto di popolo sovrano. Proprio in base al principio della sovranità popolare Rousseau opponeva all’ideale di democrazia rappresentativa quello di democrazia diretta, in cui il popolo chiamato non tanto a svolgere funzioni di governo ma a emanare le leggi, dopo essersi fisicamente riunito in assemblea (un ideale forse applicabile in un cantone svizzero, più difficilmente attuabile in uno stato come la Francia, in cui pure il filosofo visse per gran parte della sua vita).

Il suo pensiero influenzò la filosofia morale di Kant, le idee egualitariste di Marx, ispirò la Costituzione americana e la rivoluzione francese, ma anche qualche secolo più tardi la rivoluzione di Fidel Castro nella Cuba governata da Batista, fino ad arrivare ai giorni nostri e al concetto di “democrazia  digitale”.

Ma forse la sua opera più originale e stimolante, quella da rileggere anche oggi con più attenzione, non è il Contratto sociale, né uno dei Discorsi.

Forse l’opera di Rousseau da leggere veramente è l’Emilio (o dell’educazione). Un trattato pedagogico scritto prima che la pedagogia venisse inventata, un racconto, quello dell’educazione di Emilio ad opera del suo precettore, che è anche un manuale pratico sull’educazione dei figli, dalla nascita ai venticinque anni. L’educazione ideale secondo Rousseau non deve opprimere il bambino e poi l’adolescente con sovrastrutture artificiali, ma al contrario portare alla luce la nostra natura originaria di esseri umani. Perché allo stato naturale – e qui sta la buona notizia –  l’uomo è buono e felice, non è un ‘lupo’ in guerra contro tutti gli altri come sostenevano altri pensatori, ma una creatura in armonia con sé stessa e il mondo. E così nel corso del libro lo sviluppo di Emilio, uno sviluppo ‘spontaneo’ anche se stimolato dal precettore, passa attraverso le percezioni dei sensi, le prime facoltà con cui il bambino si avvicina al mondo (e che forse da sempre gli educatori tendono a trascurare), e poi, una volta cresciuto, attraverso il lavoro manuale – la falegnameria – che rappresenta, secondo il precettore, il modo migliore per entrare spontaneamente in contatto con gli obblighi e la solidarietà sociale. E poi l’educazione dell’intelletto, all’etica e alla morale e, infine, all’amore, un’educazione che avviene sempre attraverso l’esperienza, non mediata, del mondo circostante. “Formare l’uomo della natura”, dice Rousseau, “non vuol dire farne un selvaggio da relegare in mezzo ai boschi, ma una creatura che, vivendo nel turbine della società, non si lascia trasportare né dalle passioni né dalle opinioni degli uomini, che vede coi suoi occhi e sente con il suo cuore, e che non riconosce altra autorità fuori della propria ragione”.  Insomma, un cittadino pronto per la ‘democrazia diretta’…

Nota: Nel corso della sua vita Jean-Jacques Rousseau ebbe cinque figli: vennero tutti affidati all’ospizio dei trovatelli, forse in omaggio alla dottrina platonica dell’educazione dei fanciulli ad opera dello stato, o forse perché erano di intralcio ai suoi impegni di intellettuale.

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