di Roberto Dominici
La scoperta di un passato che vive dentro di noi.
Il Nobel 2022 per la medicina è stato assegnato allo svedese Svante Pääbo per le sue scoperte riguardanti il sequenziamento del genoma degli antichi ominidi estinti e lo studio dell’evoluzione umana.
Nel 1999 fonda l’Istituto Max Planck per l’Antropologia evolutiva con sede a Lipsia, in Germania. Pääbo ricopre inoltre una posizione di professore ad Okinawa presso l’Istituto di Scienze e Tecnologia.
L’umanità è sempre stata affascinata dalle sue origini. Da dove veniamo e come ci siamo relazionati con coloro che ci hanno preceduto? Che cosa rende, Homo sapiens, diverso e unico da altri ominidi?
Attraverso la sua ricerca pionieristica, lo scienziato ha realizzato qualcosa di enorme difficoltà: sequenziare il genoma del Neanderthal, un parente estinto degli odierni umani, oltre a scoprire un ominide in precedenza sconosciuto, l’uomo di Denisova i cui resti fossili sono stati trovati sui Monti Altaj una sperduta regione della Siberia.
Rivelando le differenze genetiche che distinguono tutti gli esseri umani viventi dagli ominidi estinti, le sue scoperte forniscono la base per esplorare ciò che ci rende unicamente umani.
La ricerca seminale di Pääbo ha dato origine a una disciplina scientifica completamente nuova: la Paleogenomica; i paleogenetisti non ricreano veri organismi, ma ricompongono sequenze di DNA antico usando diversi metodi analitici. In molti modi, i tratti genetici di un organismo sono “le sole testimonianze dirette delle specie estinte e degli eventi evolutivi”.
La paleontologia e l’archeologia sono importanti per gli studi sull’evoluzione umana e la ricerca ha fornito la prova che l’essere umano anatomicamente moderno, Homo sapiens, è apparso per la prima volta in Africa circa 300.000 anni fa, mentre i nostri parenti più stretti conosciuti, i Neanderthal, si sono sviluppati al di fuori dell’Africa e hanno popolato l’Europa e l’Asia occidentale da circa 400.000 anni fino a 30.000 anni fa, e a quel punto si estinsero.
Circa 70.000 anni fa, gruppi di Homo sapiens migrarono dall’Africa al Medio Oriente e, da lì migrarono per diffondersi nel resto del mondo. Homo sapiens e Neanderthal quindi hanno coesistito in gran parte dell’Eurasia per decine di migliaia di anni.
Questa coesistenza è stata svelata da Paabo partendo da informazioni genomiche, identificando, nel corso di intensi anni di lavoro, questo antico flusso e scambio di geni tra Neanderthal e Sapiens che oggi ha assunto rilevanza fisiologica, per esempio in quanto si è compreso che tale scambio influenzi per esempio il modo in cui il nostro sistema immunitario reagisce alle infezioni o che la presenza di una variante del gene che produce la cheratina, componente dei capelli, dei peli e delle unghie abbia permesso ai nostri antenati di essere più resistenti alle basse temperature e al clima freddo.
Le ibridazioni tra essere umani arcaici e moderni sono i possibili incroci avvenuti tra l’Homo sapiens, l’uomo di Neanderthal, l’Homo di Denisova e altri ominidi. Il DNA derivato dai Neanderthal si attesta attorno al 1-4% nel genoma delle popolazioni eurasiatiche, mentre è assente o raro nel genoma della maggior parte degli individui dell’Africa sub-sahariana.
Nelle popolazioni dell’Oceania e del Sud-Est asiatico è presente una frazione di DNA derivato dall’uomo di Denisova. Il destino biologico di un individuo è, almeno in parte, determinato dal suo corredo genetico.
La medicina moderna sempre più si deve confrontare con aspetti delle malattie dai quali emerge un ruolo importante giocato dalle varianti geniche, ovvero dai polimorfismi, che possono condizionare l’insorgenza di svariate malattie, o determinarne la gravità, e che almeno in alcuni casi è utile conoscere, anche per mettere in atto specifiche strategie di tipo preventivo.
Nel corso dell’evoluzione umana determinate varianti geniche hanno conferito un vantaggio selettivo e si sono diffuse in alcune popolazioni e in alcune aree geografiche, mentre altre varianti hanno avuto un destino opposto, diventando sempre più rare o scomparendo del tutto. In quest’ultimo caso, la ricerca paleogenetica acquista un valore particolare, laddove è possibile risalire allo studio delle popolazioni del passato e soprattutto di un passato remoto, di cui non resta ormai alcuna traccia.
La paleogenetica tenta inoltre di risalire ad un “albero genealogico” delle mutazioni genetiche in base all’esame del DNA delle popolazioni attualmente viventi. Tra i pionieri di questa metodologia è stato il grande genetista Luigi Luca Cavalli Sforza, che ho avuto l’onore di conoscere, che ha correlato l’evoluzione genetica umana a quella linguistica e alle antiche migrazioni dei popoli.