di Luigi Losa
Grazie Mattarella, grazie Presidente. Grazie Cottarelli, un italiano vero. Sono premesse d’obbligo prima di soffermarsi sulla situazione del Paese che è arrivato fin sull’orlo del baratro e che, per fortuna e per grazia di Dio (è proprio il caso di dirlo, visto che giovedì era il Corpus Domini),
ha ritrovato un punto di equilibrio guarda caso alla vigilia del 2 giugno, la festa della Repubblica, nel 70° anniversario di quella Costituzione che ha rischiato di finire a pezzi (altro che il referendum renziano del 4 dicembre 2016).
Una festa in cui s’è corso il pericolo addirittura di vedere strattonata persino la bandiera italiana, quel tricolore per il quale milioni di italiani hanno perso la vita nelle guerre del secolo scorso, il primo conflitto mondiale conclusosi giusto cento anni fa, il 4 novembre.
Proprio così, bandiera e costituzione sono state gettate ignobilmente nella contesa politica, anzi partitica, anzi di interessi personali prima ancora che di parte.
Ed è solo ed unicamente grazie alla saggezza e alla fermezza, alla pazienza e alla determinazione, alla saldezza e alla riservatezza del presidente della Repubblica, Sergio Mattarella che l’Italia è rimasta in piedi. Altro che la buffonata della rimozione della sua foto dagli uffici dei sindaci leghisti, in primis quelli della Brianza, perfetti ignoranti del fatto che nel momento in cui sono stati legittimamente eletti primi cittadini lo sono diventati di tutti e per tutti i loro cittadini, anche quelli che non li hanno votati.
A Mattarella dovremo incominciare a pensare di erigere monumenti per averci salvato da derive inimmaginabili nella tarda primavera di questo 2018, altro che impeachment per alto tradimento.
In queste drammatiche giornate abbiamo avuto però la fortuna di conoscere e capire chi e cosa deve essere un vero italiano, Carlo Cottarelli, che si è messo a disposizione, rischiando tutto in cambio di niente, solo e semplicemente per aiutare il suo e nostro Paese ad uscire da una situazione ormai vicina al punto di non ritorno. Ecco, Cottarelli e quel che ha fatto dovrebbero essere raccontati e insegnati in tutte le scuole di ogni ordine e grado, pubbliche e private, quale esempio e testimonianza di quel che significa essere cittadini e italiani. E aggiungo anche cristiani autentici.
Abbiamo finalmente un governo che le statistiche puntualmente aggiornate dicono essere il sessantacinquesimo della storia della Repubblica Italiana, il primo della XVIII legislatura iniziata di fatto con le elezioni dello scorso 4 marzo.
All’ottantottesimo giorno dopo le elezioni i presunti vincitori delle medesime (in realtà nessuno dei due ha ottenuto la maggioranza e anche messi insieme non fanno la maggioranza dei cittadini elettori) Movimento 5 Stelle e Lega hanno dato finalmente vita, al secondo tentativo (trascurando i tira e molla precedenti), ad un esecutivo presieduto dall’avvocato e professore Giuseppe Conte.
Il quale ha preso parte solo al rush finale della convulsa trattativa tra i due leader forze politiche (un movimento e un partito) Luigi Di Maio e Matteo Salvini, per la quale si sono rifugiati addirittura sulla terrazza del palazzo dei gruppi parlamentari per sfuggire ad occhi e orecchie indiscrete.
Tanto il resto lo avevano già deciso i due, e lui era un ‘esecutore’. E speriamo che insieme ad una personalità ci faccia vedere anche di avere una dignità.
Inutile fare qui la cronistoria di quel che è accaduto in quasi tre mesi, tanto è durata la più lunga crisi politica della storia repubblicana.
Di certo in queste lunghe settimane e nelle ultime angosciose giornate se ne sono viste e sentite di tutti i colori offrendo spettacoli indecorosi, sovvertendo non solo prassi e regole (ci può anche stare nella roboante retorica ‘rivoluzionaria’ che ha visto leghisti e pentastellati fare a gara nel superarsi continuamente nella corsa all’insulto e al dileggio nei confronti di chi non solo e non tanto non essere d’accordo con loro ma persino pensarlo) ma persino i fondamenti della stessa democrazia.
Abbiamo un governo malgrado per giorni e settimane abbiamo visto trattative su nomi e programmi, promesse e slogan, in un mercanteggiamento che ha fatto impallidire tutte le vituperate pratiche spartitorie: il famoso manuale Cencelli è diventato quasi una favoletta per educande.
Abbiamo un governo nato in riunioni quasi da carbonari tra Roma e Milano e ritorno, in palazzi istituzionali anziché in sedi di partito oppure in studi di commercialisti o in salette di ristoranti o case private.
Il famoso streaming nel quale era stato sbeffeggiato ed umiliato il povero Bersani nel 2013 è stato bellamente cancellato alla faccia della trasparenza. Mai una conferenza stampa, mai un confronto aperto, mai risposte vere a domande pertinenti, solo tweet e post su facebook e social vari con sproloqui e vaniloqui.
Abbiamo un governo politico dove però sette ministri su venti sono non eletti e di fatto tecnici anche se con la foglia di fico della definizione di ‘indipendente in quota’.
Quei tecnici aborriti in tutte le salse e dichiarazioni in una campagna elettorale prima e dopo il voto che si spera sia almeno finita.
Tecnici che occupano posti fondamentali, dal presidente del consiglio, agli esteri, all’economia, agli affari europei, alla difesa, all’istruzione, all’ambiente.
Meno male perché almeno, forse, loro terranno in piedi lo sgangherato baraccone e riporteranno con i piedi per terra gli imbonitori da fiera che hanno illuso come pifferai magici tanti italiani con la flat tax ed il reddito di cittadinanza, la cancellazione della Fornero e la cacciata degli immigrati, il blocco delle infrastrutture e la chiusura dell’Ilva, e lo sciagurato gioco all’euro sì, euro no che ha bruciato 200 miliardi di risparmi in pochissimi giorni.
Eppure meno male che è finita, nel senso che il governo c’è e non dovremo andare a votare ancora a luglio.
Ora stiamo a vedere, ma non con il barilotto dei pop corn stravaccati sul divano come ha stupidamente annunciato il bulletto Renzi che è stato capace di bruciarsi milioni di voti in due anni.
Nossignori c’è da pensare, ragionare e rimboccarsi le maniche per lavorare per davvero al ‘bene comune’ dell’Italia. E i cattolici devono farlo per primi, altro che continuare a ritirarsi e nascondersi nelle sacrestie o dietro le sottane di preti, vescovi e cardinali. I quali sacrosantamente hanno raccomandato anche di pregare, in questi giorni.
Perché forse è davvero quel che ci serve, sperando che non sia quel che ci resta.
Foto: Presidenza della Repubblica. La foto di Renzi, invece, è di Stefania Sangalli