Abraham Lincoln, il presidente che abolì la schiavitù

lincolndi Francesca Radaelli

Nasce il 12 febbraio 1809 a Hodgensville Abraham Lincoln, il presidente americano passato alla storia per aver abolito la schiavitù.

Figlio di contadini quaccheri, da avvocato diventa celebre per i suoi discorsi e intraprende la carriera politica nelle file del partito repubblicano. Già nel 1846,  eletto al Congresso federale, presenta un progetto di legge per circoscrivere il sistema della schiavitù, nella convinzione che “l’istituzione della schiavitù è fondata sull’ingiustizia e sulla pessima politica”.

Nel 1854 tiene il celebre discorso di Peoria, opponendosi al Kansas-Nebraska Act secondo cui ogni questione, schiavitù compresa, avrebbe dovuto essere regolata dal singolo stato e non dal governo federale. Nel suo intervento, passato alla storia e divenuto famosissimo, Lincoln afferma la necessità di porre un freno alla diffusione della schiavitù non solo perché inumana, ma anche perché “i nuovi stati liberi sono i luoghi dove possono andare i poveri per migliorare la loro condizione”.

Monumento a Lincoln
Monumento a Lincoln

Il discorso di Peoria rappresenta la sua consacrazione e il partito decide di candidarlo al senato federale. “Una casa divisa contro sé stessa non può durare”, dice Lincoln accettando la candidatura. “Credo che questo governo non potrà durare per sempre se continuerà a essere mezzo schiavo e mezzo libero”.

La schiavitù è un errore: Lincoln, da liberale, ne è convinto e non manca mai di ricordarlo nei suoi discorsi pubblici. Nel maggio 1860,ormai popolarissimo, viene scelto dal suo partito come candidato alla presidenza e vince, divenendo il sedicesimo presidente degli Stati Uniti. Non appena il risultato delle elezioni è annunciato, il movimento di secessione del Sud esce allo scoperto e, quasi un mese prima dell’insediamento ufficiale di Lincoln alla presidenza, sette stati del Sud formano una confederazione indipendente. È il 12 aprile 1861 e scoppia la guerra di secessione, che si concluderà solo nel 1865.

Nel 1863 Lincoln emana il proclama di emancipazione dei neri, che abolisce la schiavitù, ma solo all’interno degli Stati scissionisti.

Il monumento nazionale del Monte Rushmore: il volto di Lincoln è il primo a destra. Gli altri, da sinistra, Washington, Jefferson e Roosevelt.
Il monumento nazionale del Monte Rushmore: il volto di Lincoln è il primo a destra. Gli altri, da sinistra, Washington, Jefferson e Roosevelt.

Riconfermato presidente nel 1864, l’anno successivo fa approvare al Congresso l’emendamento alla Costituzione – il celebre 13º emendamento – che sancisce l’abolizione della schiavitù in tutta l’Unione americana. Il 1865 è anche l’anno della resa definitiva degli stati abolizionisti, nonché quello della morte di Lincoln. Il successo dell’Unione, guidata da un presidente divenuto uno dei ‘miti americani’, rappresenta una tappa importantissima nella storia degli Stati Uniti, che acquisiscono così una dimensione e un’identità davvero unitaria e ‘nazionale’.

Il 15 aprile dello stesso anno, il presidente  Abraham Lincoln, vincitore della guerra di secessione e fautore dell’abolizione della schiavitù viene assassinato al Ford’s Theatre di Washington, per mano dell’attore e fanatico sudista John Wilkes Booth, che gli spara alla testa con un colpo di pistola.

 

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