di Daniela Annaro
Tagli e buchi. Tele lacerate che aprono lo spazio allo spettatore. Per andare oltre, alla ricerca dell’infinito. E’ questa l’eredità di Lucio Fontana, nato in Argentina a Santa Fè nel 1899 e scomparso nel 1968, il 7 settembre a Comabbio, Varese.
E’ il 1958 quando Lucio Fontana opera il suo primo taglio sulla tela (scatenando incomprensioni e polemiche, ma anche il mercato dei falsari) e vi arriva, sembra un paradosso, riflettendo sul barocco.
Le figure – scrive a questo proposito – pare abbandonino il piano e continuino nello spazio.
Esattamente come nelle sue opere: lo sguardo dello spettatore è invitato a vagare nello spazio. A queste conclusioni, l’artista italo-argentino vi arriva dopo un percorso di studio e di lavoro intenso e complesso. Il padre italiano, lo scultore Luigi Fontana che si era stabilito oltreoceano sul finire del XIX secolo, lo manda a studiare in Italia dove si diploma perito edile all’Istituto Cattaneo di Milano, torna brevemente in Argentina, ma nel 1927 è il miglior allievo dello scultore Adolf Wildt all’Accademia di Brera, anche se non ne seguirà né l’impronta né lo stile. L’ambiente legato a Brera, ma più in generale Milano, negli anni Trenta del Novecento è effervescente. Frequenta gli architetti Figini e Pollini, e il gruppo BBPR (Belgioioso, Banfi, Peressutti, Rogers progettisti della Torre Velasca). E’ il periodo in cui usa molto la ceramica e ama i colori accessi, risente della figurazione espressionista, ma continua la sua ricerca verso la rarefazione della forma, in una direzione rivolta all’astrattismo.
Un percorso che, negli anni della Seconda Guerra Mondiale tra il 40 e il 47, lo porteranno a elaborare il Manifesto Blanco, cui farà presto seguito il Primo Manifesto dello Spazialismo. Nascono così le sue prime sculture che titola Concetto Spaziale:
Sagome di gesso dipinto – scrive lo storico dell’arte Adriano Altamira – con colori fluorescenti che, sotto le lampade di Wood assumono la consistenza irreale di segni tracciati nello spazio accolgono lo spettatore in uno spazio ambiguo che perde le sue coordinate di riferimento.
Ed così che nasce Ambiente a luci nere, prima formulazione nel dopoguerra a livello europeo di environment, prima proposta di arte intesa come decorazione globale. Un’elaborazione che lo rende caposcuola e trascina la sua figura oltre l’informale. Fontana stesso, a proposito del gesto di rottura dei buchi e poi dei tagli diceva:
I buchi non erano la distruzione del quadro… erano proprio una dimensione al di là del quadro, la libertà di concepire l’arte attraverso qualunque mezzo.