di Daniela Zanuso
E’ passato alla storia per essere stato in Italia l’antesignano del welfare aziendale ed esser riuscito a coniugare con grande abilità ed attenzione, profitto aziendale e responsabilità sociale. Personalità poliedrica, eclettica, di grande statura intellettuale e di profonda sensibilità, Adriano Olivetti è stato imprenditore, ma anche urbanista, scrittore (fonda la rivista “Comunità”) ed editore (crea la casa editrice NEI).
Nasce l’11 aprile 1901 nei pressi di Ivrea e dopo la laurea in ingegneria chimica entra nell’azienda, fondata dal padre Camillo, come operaio. Un lungo viaggio negli Stati Uniti e la visita alle grandi fabbriche americane, diventa occasione di intuizioni acutissime e di considerazioni che si tradurranno in ambiziosi progetti per la fabbrica di Ivrea.
La sua visione d’impresa andava ben oltre il concetto di luogo in cui produrre. L’impresa era per lui un motore di sviluppo economico e sociale, poiché si doveva creare un equilibrio tra essa, la comunità e il territorio sul quale l’impresa operava. La sua attenzione era concentrata al miglioramento delle condizioni di vita dei dipendenti, tanto che alla Olivetti gli aumenti salariali erano anticipati rispetto alla scadenza del rinnovo dei contratti. Olivetti sapeva guardare oltre il salario: il benessere doveva essere a 360°, dalla mensa alla biblioteca, dai quartieri per i dipendenti ai servizi sociali.
Scriveva: “La fabbrica non può guardare solo all’indice dei profitti. Deve distribuire ricchezza, cultura, servizi, democrazia. Io penso la fabbrica per l’uomo, non l’uomo per la fabbrica…”.
E poi traduceva nei fatti: alla Olivetti si tenevano concerti di musica, mostre, dibattiti. Nel frattempo aumentano il numero delle fabbriche, si aprono nuovi centri di ricerca e sperimentazione. Si circonda di collaboratori di grandissimo valore e di architetti di fama, non gli basta la cultura dell’innovazione, l’eccellenza della tecnologia, punta anche al design.
Immette sul mercato prodotti che, per la loro bellezza, diventeranno oggetti ammirati in tutto il mondo e per i quali riceverà riconoscimenti e premi. La Lettera 22, la famosa macchina da scrivere usata da Indro Montanelli, nel 1959 verrà indicata, da una giuria di designer a livello internazionale, come il primo tra i cento migliori prodotti degli ultimi cent’anni.
La sua è stata una visione della vita e del lavoro che ha indubbiamente precorso i tempi. Quando gli è stata posta la domanda se tutto questo non fosse utopia, la sua risposta è stata: “ spesso il termine utopia è la maniera più comoda per liquidare quello che non si ha voglia, capacità o coraggio di fare. Un sogno sembra un sogno fino a quando non si comincia a lavorarci. E allora può diventare qualcosa di infinitamente più grande”. E delle tante citazioni sul lavoro ne riporto una che mi sembra più che mai attuale: “Il lavoro dovrebbe essere una grande gioia ed è ancora per molti tormento, tormento di non averlo, tormento di fare un lavoro che non serva, non giovi a un nobile scopo”.
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