Intervista a cura di Fabrizio Annaro
Agnese Moro, giornalista, firma “Costruire cose buone“, rubrica de La Stampa dedicata alle buone notizie. Per la pagina del nostro giornale, “Aspettando Francesco”, abbiamo chiesto ad Agnese una sua opinione sull’appello di Papa Bergoglio ai giornalisti: “guardare alla realtà con occhiali giusti e diffondere le buone notizie”.
Ritieni che sia possibile realizzare un giornalismo più costruttivo, meno “ansiogeno” che tenga conto anche delle buone notizie?
Spero proprio di sì. Le buone notizie fanno parte della vita sociale, oltre che individuale. Se davvero si vuole parlare della realtà, informare su ciò che accade, aiutare a pesare sfide e risorse disponibili non si può non tenerne conto. Dare le buone notizie è importante anche perché significa cercare di parlare delle risposte che ovunque e in tanti modi diversi le persone stanno cercando ai problemi, che sono poi quelli che animano le cattive notizie. E’ faticoso perché devi cercare le buone notizie in luoghi, in gesti e in attività apparentemente piccole e banali. L’abilità del giornalista sta nell’entrare in quelle cose apparentemente piccole e spiegare – a volte anche a chi le fa – quanto sono importanti.
Cosa hai pensato dopo che Papa Francesco ha chiesto ai giornalisti di “guardare alla realtà con gli occhiali giusti?”
E’ sempre bello e incoraggiante leggere quello che ci dice Papa Francesco. Comunica sempre la sua fiducia nel Dio di Gesù di Nazareth, il Dio disarmato, e nell’uomo. Mi sembra che ci proponga di aggiungere altre correzioni alle lenti dei nostri occhiali. E’ come quando una persona è miope e astigmatica insieme: ha bisogno di lenti che correggano entrambi i difetti. E così, forse, è per lo sguardo da avere sul mondo: poter guardare vicino e lontano, raccontando le cose storte e quelle diritte. Conforta tanto la fiducia che ha in noi giornalisti, mentre tanti “capi del mondo” in questo momento manifestano per noi disprezzo e sfiducia.
Internet, Facebook WhatsApp, Instagram hanno messo fortemente in crisi l’autorevolezza e il ruolo del giornalista oltre che le imprese editoriali. Viviamo immersi in una overdose di comunicazione e informazione. Pensi che il giornalista sarà definitivamente travolto nei prossimi anni? Il mondo della comunicazione sarà sempre più fluido?
Sono l’ultima arrivata in questo bel mondo e altri certamente avranno idee più chiare. Ma proprio con l’occhio del neofita mi sembra di vedere che l’avversario più duro è lo scoraggiamento del giornalista stesso nella importanza insostituibile della sua professione. Un’importanza che gli avversari della informazione libera non sottovalutano. Lo dimostrano le terribili cifre del prezzo pagato in tutto il mondo – in termini di vite perse, persecuzioni, chiusure di testate – da coloro che seriamente fanno informazione.
Forse una maggiore fluidità è inevitabile, ma quello che può fare la differenza è la tenuta non corporativa, ma piena di responsabilità di una categoria cosciente di quanto sia importante quello che fa. Conoscere la verità delle cose e dirla è il nostro compito. E nessuno potrà farlo al posto nostro.
Hai incontrato anche molti giovani come ti sembrano queste nuove generazioni: riusciranno a realizzare un mondo diverso dal nostro?
Non voglio mancargli di rispetto parlando al posto loro. Sono certa che il loro modo di vedere il mondo e la vita che sperimentano è totalmente diversa dalla mia. Sarebbe così bello e importante se ce ne parlassero davvero; se avessero abbastanza fiducia in noi per farlo.