di Francesca Radaelli
Spalti gremiti, risate e tanti applausi al Teatro Manzoni per Nel nostro piccolo, lo spettacolo di Ale e Franz in scena lo scorso sabato 17 marzo, nell’ambito della rassegna Comici in prosa, che ha già visto calcare il palcoscenico del teatro monzese altre due figure amatissime dal pubblico: Giuseppe Giacobazzi e Horny. I due comici milanesi, divenuti ‘cult’ grazie al successo televisivo ottenuto prima con gli sketch di Zelig poi con l’originale format di Buona la prima, hanno portato a Monza il loro omaggio a due grandi protagonisti del teatro-canzone milanese, Enzo Jannacci e Giorgio Gaber.
Due artisti che hanno saputo raccontare con ironia ma anche con passione e partecipazione la Milano degli ultimi e degli sconfitti, degli ideali e della loro delusione. Due artisti che non potevano che essere punti di riferimento imprescindibili per Alessandro Besentini e Francesco Villa, coppia comica che proprio a Milano ha mosso i primi passi.
E anche sul palco, nel loro piccolo, Ale e Franz hanno voluto partire, ancora una volta, proprio da qui. Dalla Milano delle periferie, dei bar e delle strade, quella popolata dagli scansafatiche alla Cerruti Gino e dai barbùn con “i scarp del tenis’. Una Milano che ritorna nelle canzoni, diventate ormai dei ‘classici’, che sono riproposte durante lo spettacolo dal duo comico, che si cimenta anche nel canto accompagnato dai bravissimi musicisti Luigi Schiavone (chitarra elettrica acustica), Fabrizio Palermo (basso e voce) Francesco Luppi (tastiere e voce) Marco Orsi (batteria). Canzoni che hanno fatto la storia di una città e non solo, e che ben si armonizzano con gli sketch comici di Ale e Franz, contraddistinti dallo stile unico che li ha fatti amare da un vastissimo pubblico. Giochi di parole e nonsense, personaggi naif in preda a un crescendo di equivoci verbali che aumentano battuta dopo battuta, sino a diventare troppo grandi per loro. Ma anche storie che commuovono, come quella del barbone e del suo angelo custode.
I personaggi, del resto, non sono troppo diversi da quelli cantati da Gaber e Jannacci: barboni e scansafatiche a Milano ci sono ancora, anche se adesso sulle panchine dei parchi c’è anche chi pratica lo yoga e dietro i banconi dei bar si affannano i nuovi proprietari cinesi impazienti di propinare ai clienti i loro ‘capputtini’.
Quando viene il momento di ‘Ma mi’ o ‘Son s’cioppaa’, in platea qualcuno non può far meno di cantare, sfoderando un dialetto che diventa sempre più difficile da comprendere per i nuovi milanesi (e i nuovi brianzoli) e forse da ricordare per chi lo ha parlato, Ma alla fine Ale e Franz, nel loro piccolo, riescono a far ridere proprio tutti, anche chi quelle canzoni le ascolta per la prima volta. Merito delle battute folgoranti, dell’atmosfera surreale che avvolge la loro comicità. Ma anche, almeno un po’, di quei Maestri che forse per primi hanno provato a dar voce al loro mondo in quel modo lì, surreale e scanzonato. E a cui era giusto rendere omaggio.