di Francesca Radaelli
Nell’anno in cui ricorre il 400esimo anniversario dalla morte di William Shakespeare, il Teatro Binario 7 di Monza ospiterà venerdì 29, sabato 30 e domenica 31 gennaio, in prima nazionale, lo spettacolo fuori abbonamento Othello prodotto dalla Compagnia Teatrale PianoinBilico. Una tragedia immortale, un grande classico della letteratura e del teatro. Il Dialogo di Monza ha intervistato il regista, Alessandro Loi, che reciterà anche nella parte di Iago, affiancato sul palcoscenico dagli attori da Diego Facciotti (Othello), Silvia Giulia Mendola, Cinzia Spanò.
Come è nata l’idea di rappresentare Othello?
È nata in modo molto semplice, in realtà. Un giorno mi telefona Alberto Onofrietti e mi dice: ‘mettiamo in scena Othello?’ Alberto è un amico fraterno… non ho saputo dirgli di no! Così, lui milanese e io romano, circa un anno fa, nel mese di febbraio, abbiamo iniziato a lavorare, anche a distanza, al progetto, coinvolgendo la compagnia PianoinBilico, che opera nell’hinterland milanese e ha affrontato ultimamente diversi testi shakespeariani. Per me, abituato a calcare il palcoscenico nelle vesti di attore (Alessandro Loi è diplomato all’Accademia Silvio D’Amico, ndr) si è trattato del punto di arrivo di un percorso che mi ha portato gradualmente ad avvicinarmi alla regia. E che è partito proprio da Milano.
In che modo?
Quando ho iniziato a collaborare come assistente alla regia per lo spettacolo ‘Farà giorno’ di Piero Maccarinelli con Gianrico Tedeschi, che ha visto la partecipazione di Alberto Onofrietti come attore. Lavorando insieme alla costruzione del suo personaggio è nata l’idea di realizzare una produzione completamente nostra. E così, una volta scelto Othello, io ho intrapreso la sfida della regia, mentre Alberto si è occupato dell’editing dei video che, come vedrete, rappresentano una parte importantissima dello spettacolo.
A dire il vero inizialmente Alberto avrebbe dovuto impersonare Iago, il personaggio è stato ‘montato’ su di lui, poi però sono subentrati altri impegni lavorativi e ha dovuto rinunciare. In scena nei panni di Iago ci sarò io, ma quello che vedete è il frutto del lavoro fatto da Alberto
Che tipo di impostazione registica hai voluto imprimere?
L’essenza del mio approccio al teatro sta nell’essere libero da ogni tipo di preconcetto, sia quando affronto un monologo, una scena, sia quando, come in questo caso, mi trovo a realizzare una regia. Mi spiego. Quello che voglio fare non è partire dalla mia idea di come devono essere i personaggio, Othello, Desdemona o Iago, e trasmetterla allo spettatore. Al contrario, io parto dal testo che devo rappresentare, lo leggo e tento di rendere organico, sulla scena, ciò che c’è scritto.
La prospettiva in cui io e Alberto Onofrietti concepiamo la recitazione e il montaggio ci porta a lavorare sul testo di partenza sempre con il medesimo approccio, che si tratti di Shakespeare o di un testo contemporaneo. Il montaggio delle scene costituisce il fondamento dello spettacolo. Il mio punto di partenza non è un concetto di poetica, non voglio ‘tirare fuori’ qualcosa dal personaggio, ma parto da ciò che il personaggio sta facendo.
Poi è lo spettatore a costruire il personaggio in base a ciò che lo spettacolo e la vicenda gli trasmettono. Il mio lavoro, come regista, è un altro. Io vado ad analizzare le battute, i dialoghi e in base a questi intervengo per gestire ‘spazialmente’ le parole e la recitazione. E ogni prova dello spettacolo, ma anche ogni rappresentazione di fronte al pubblico, è un’occasione per migliorare il risultato finale.
Ha parlato di gestire ‘spazialmente’ le parole e i dialoghi. Puoi spiegarci cosa significa per un regista di teatro?
L’attore è come uno strumento musicale, e come tale non deve suonare sempre la stessa nota. Fuor di metafora: non bisogna eccedere nella caratterizzazione dei personaggi. Luca Ronconi diceva sempre che gli spettacoli devono essere un insieme di tante particelle, di tanti piccoli elementi in grado di catturare l’interesse dello spettatore in ogni singolo istante dello spettacolo. In questa prospettiva, il lavoro che ho fatto io come regista è specifico su quella che si definisce ‘prossemica vocale’, ho lavorato molto sulla spazialità della voce: a ogni frase è dato uno spazio all’interno della scena e il montaggio della recitazione è molto serrato. Ogni battuta, ogni frase, ogni parola rappresenta un tassello, ogni tassello costituisce una nota, che può essere modificata per ottenere una melodia diversa, come in uno spartito musicale. Sempre in modo consapevole, però. Perché in teatro ogni momento deve essere ‘vivo’, ma il regista e gli attori devono sempre mantenere il controllo, avere sempre coscienza precisa dell’effetto che intendono produrre scegliendo di intervenire in un certo modo piuttosto che in un altro. Lo spettacolo è un prodotto, nasce da un lavoro preciso, il pubblico deve percepirlo e riconoscerlo.
Come sarà invece la scenografia?
In scena avremo solo due panche e le sposteremo a seconda di quello che sta succedendo nella storia. La scenografia è funzionale alla recitazione, che costituisce il perno dell’impostazione registica che ho voluto dare. Per quanto riguarda la caratterizzazione dei personaggi, Otello non sarà un ’moro’ nero, ma si caratterizzerà per un tatuaggio sul volto, che lo identificherà immediatamente, mentre i costumi, così come l’allestimento scenico, giocheranno molto sul contrasto cromatico bianco-nero.
Per accentuare il valore simbolico di questo contrasto che percorre il testo di Shakespeare?
Non direi, in realtà. Penso che non esista in fondo un modo giusto o sbagliato per rappresentare l’Othello di Shakespeare. Ciò che propongo è un’ipotesi, un’ipotesi che dà Alessandro Loi dell’Othello di Shakespeare.
Un’ipotesi costruita a partire dal testo, ma che però non può prescindere da altri ‘Otelli’ illustri del passato, del teatro e del cinema. I tuoi ‘predecessori’ sono tantissimi. In che modo ti sei relazionato con le letture che registi e attori hanno dato del dramma di Shakespeare nel corso della storia?
Il primo Otello che sono andato a ‘studiare’ è stato quello di Salvo Randone e Vittorio Gassman, fino poi ad arrivare all’allestimento di oggi di Marco Carniti. Ogni rappresentazione di un testo teatrale permette in fondo di leggere il testo in modo più approfondito, di ampliare la propria visione della vicenda e dei personaggi. Almeno questo è ciò che è accaduto a me. È come se davanti al regista si disegnasse una mappa, in cui tassello dopo tassello vanno prendendo forma i contorni della propria ‘ipotesi’ registica.
Otello è un grande classico del teatro, che esprime temi e sentimenti universali, dall’inganno alla gelosia contrapposizione tra il bianco e il nero. Davanti al pubblico contemporaneo i classici possono (o devono) essere attualizzati?
La bellezza dei testi classici sta proprio nella loro carica universale, in scena ci sono le dinamiche che appartengono all’umanità in quanto tale, per questo ogni volta che si rileggono testi di questo tipo è possibile trovare sempre qualcosa di nuovo e di vero, per questo talvolta si ha l’impressione di ‘scoprire’ un classico. Sono convinto che se un testo possiede questa dimensione universale, il problema non è tanto ‘attualizzarlo’, piuttosto occorre soffermarsi sui rapporti che si creano in scena, renderli evidenti anche nelle loro sfumature, per dare carica e vigore al testo stesso, che è già universale di per sé.
In conclusione, un motivo per cui vale la pena venire a vedere lo spettacolo.
Perché è uno spettacolo autoprodotto dalle persone che vi hanno lavorato. Persone che si sono messe in gioco, hanno investito e dedicato tempo al progetto. Dietro c’è davvero un grande lavoro, che continuerà anche durante il periodo delle rappresentazioni, per perfezionare sempre più il risultato finale. Abbiamo lavorato e continuiamo a lavorare con passione, magari soffermandoci per ore su una scena, un pezzo di scena, un respiro, una parola, un’intonazione. Quello che conta è in fondo proprio la passione con cui ci mettiamo in gioco, anche a livello umano nel confronto continuo con il testo teatrale, ‘divertendoci’ a ogni nuova prova e scoprendo ogni volta, sfumature nuove dei personaggi e delle situazioni. Dopotutto questo è il bello del nostro mestiere. E del teatro…