di Francesca Radaelli
La fame come arma di guerra. La lotta alla fame come strumento di pace. Oggi, 16 ottobre, il mondo celebra la Giornata Mondiale dell’Alimentazione e, con essa, l’anniversario fondazione della FAO, l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Alimentazione e l’Agricoltura.
Una ricorrenza che assume un significato ancora più forte, quest’anno, alla luce del premio Nobel per la Pace conferito qualche giorno fa proprio al Programma Alimentare Mondiale (PAM o WPM, dall’inglese World Food Programme), l’agenzia delle Nazioni Unite, con sede a Roma, che si occupa dell’assistenza alimentare.
Una scelta, quella del Comitato del Nobel, che ci ricorda una realtà terribile del nostro tempo: una grande parte della popolazione mondiale non ha il cibo necessario per vivere in modo sano. Che la colpa sia della povertà endemica, dei cambiamenti climatici o delle situazioni di guerra, sicuramente è difficile parlare di sviluppo – che sia esso culturale, economico, sociale, ambientale – laddove vengono meno le basi della sopravvivenza.
Fame zero: un obiettivo sempre più difficile
“Per i suoi sforzi per combattere la fame, usata come arma di guerra. Per il suo contributo al miglioramento delle condizioni per la pace in aree colpite da conflitti e per il suo agire come forza trainante per evitare l’uso della fame come arma di guerra e di conflitto”: questa la motivazione del premio. “In tempi di pandemia il World Food Programme ha dimostrato incredibili capacità nella lotta contro la fame nel mondo”, ha aggiunto il comitato norvegese dei Nobel.
E il Premio vuole essere anche un segnale di sostegno alla cooperazione internazionale: “Oggi populismi e nazionalismi screditano le agenzie di cooperazione”, ha puntualizzato l’avvocatessa norvegese Berit Reiss-Andersen, presidente del Comitato. “È difficile per loro ricevere il supporto finanziario. Adesso più di 20 anni fa. Non hanno fondi né supporto”.
Nel 2019 il Programma ha fornito assistenza a quasi 100 milioni di persone in 88 Paesi vittime dell’insicurezza alimentare acuta e della fame. Un numero in aumento, spesso a causa di guerre e conflitti. E la pandemia del Covid rischia di aggravare ulteriormente la situazione.
“Questo è un potente promemoria per il mondo che la pace e #famezero vanno di pari passo”, ha scritto il Wfp in un tweet.
“Fame zero”, del resto, è anche uno degli obiettivi definiti dall’ONU all’interno dell’Agenda 2030, lo strumento con cui l’Organizzazione delle Nazioni Unite ha voluto indicare al mondo la via verso lo sviluppo sostenibile. Difficile, però, che l’obiettivo venga raggiunto.
La fame nel mondo: un quadro sconfortante
In questo senso, i numeri diffusi dall’Onu sono piuttosto sconfortanti. A leggere il The Sustainable Development Goals Report 2019 si scopre, per esempio che nel 2017 ben 821 milioni di persone erano denutrite, in aumento rispetto ai 784 milioni del 2015. Due terzi delle persone denutrite nel mondo vivono in due regioni: Africa Sub-Sahariana (237 milioni Asia meridionale (277 milioni). Particolarmente impressionanti risultano i dati sui bambini: il 22% (149 milioni) di bambini sotto i 5 anni presentano ritardi nella crescita, il 7,3% (49 milioni) di bambini sotto i 5 anni sono deperiti, mentre una percentuale consistente – 5,9% (40 milioni) – risultano sovrappeso. Eppure, secondo i calcoli dell’Onu, se gestite bene, agricoltura, sviluppo rurale e pesca possono assicurare cibo nutriente per tutta la popolazione mondiale.
L’azione del World Food Programme
In questa direzione lavora proprio il World Food Programme. L’idea di creare, all’interno della Fao, un programma di distribuzione alimentare venne lanciata nel 1961: l’anno dopo fu costituito il WFP. Oggi ogni giorno 5.000 camion, 20 navi e 92 aerei del WFP si muovono per fornire cibo e altri tipi di assistenza a chi ne ha più bisogno. Ogni anno, il programma distribuisce circa 15 miliardi di razioni alimentari, a un costo stimato di 31 centesimi di dollaro a razione.
Il Programma acquista 3 milioni di tonnellate di cibo l’anno. Di questa quantità, almeno tre quarti proviene da Paesi in via di sviluppo, vicino a dove è necessario per abbattere i costi di trasporto. Non disponendo di mezzi propri, il programma si basa sui finanziamenti provenienti dai governi, privati cittadini e aziende: nel 2018 ha raccolto la cifra record di 7,2 miliardi di dollari. Lo staff conta oltre 17.000 dipendenti in tutto il mondo; di essi, oltre il 90 per cento si trova in Paesi in cui l’agenzia fornisce assistenza.
I progetti di sviluppo del WFP si concentrano sulla nutrizione, con particolare riferimento a madri e bambini, combattendo la malnutrizione fin dal suo primo insorgere tramite programmi mirati ai primi 1.000 giorni di vita, cioè dal concepimento al secondo anno d’età del bambino e, più tardi, ai pasti a scuola. Ogni anno, fornisce pasti a scuola a oltre 16 milioni di bambini e bambine in 60 Paesi, spesso nelle regioni più inaccessibili come Siria, Yemen e Corea del Nord. Due terzi degli interventi sono in zona di guerra.
Un tentativo di costruire la pace, in un mondo sempre più affamato.
16 ottobre 2020