Volti monumentali, come scolpiti nella pietra, ricchi di suggestioni, dall’espressioni enfatizzate. Aveva un carattere giovale Donato Bramante (1443/44 – 1514).
Cresce come artista alla corte rinascimentale di Federico di Montefeltro, venendo a contatto con l’architetto Luciano Laurana e con il sommo maestro Piero della Francesca, lì conosce e frequenta Leon Battista Alberti. E’ un uomo colto: commenta Dante Alighieri, scrive poesie. Quando arriva a Milano, siamo attorno agli anni 80 del Quattrocento, è un pittore e un architetto affermato.
Nel 1481, sappiamo che lavora alla bottega di Matteo Fedeli. E’ proprio costui che dà incarico all’orafo Bernardino Prevedari di incidere su lastra un disegno di Donato.

La stampa che ne deriva – oggi rimangono solo due esemplari – costituisce una specie di manifesto delle soluzioni architettoniche e decorative del maestro marchigiano.
Ai nostri occhi “profani” sembra un banale, per quanto bello e affascinate, disegno, ma diventa una sorta di “bibbia” per artisti e architetti a lui contemporanei come pure ai successivi.
La costruzione del tempio dedicato alla Vergine è finanziato da una potente confraternita do orafi e artigiani. E’ in questo ambiente che Bramante viene a contatto con Gaspare Antonio Visconti che, non solo lo accoglierà nel suo palazzo per tutto il soggiorno lombardo,ma sarà suo mecenate e lo inserirà alla corte degli Sforza.
Per la dimora di Gaspare Visconti, ora chiamata Casa Panigarola (a Milano in via Lanzone), realizza gli affreschi che vediamo alla mostra “Bramante a Milano. Le arti in Lombardia 1477-1499” (fino al 22 marzo 2015 alla Pinacoteca di Brera). Affreschi di uomini in armi e non strappati e trasportati su tela, tra i capolavori delle raccolte permanente della Pinacoteca di Brera e ora messi in evidenza per questa rassegna voluta per ricordarlo a cinque secoli dalla sua morte.

La Pinacoteca conserva nella sua collezione anche l’intenso e struggente “Cristo alla colonna”, dipinto su tavola tra i pochi del maestro urbinate, fulcro di questa esposizione.
Bramante rimane in Lombardia per 22 anni, lavora intensamente nei feudi sforzeschi tra Vigevano e Milano come ingegnere, decoratore, architetto e ovviamente pittore. Ventidue anni importantissimi per l’arte lombarda del Quattrocento, a Milano, nel frattempo, è arrivato anche Leonardo da Vinci.
Bramante incide sul tessuto culturale e artistico tanto quanto il fiorentino di Vinci.
Un successo il suo che oltre a creare seguaci e ispiratori fa sì che la corte papale di Giulio II lo chiami a Roma.
E anche qui lascerà tracce profonde del suo sapere.
Daniela Annaro