Alma, l’anima intrappolata

di Diego Fossati

“Alma” è un cortometraggio che riesce a costruire, grazie ad una magistrale scrittura che vive di dettagli, una tensione perfetta e molto interessante in soli 5 minuti. La bambola sul triciclo che tenta di uscire dalla porta, sbattendoci contro ripetutamente, è un esempio perfetto.

Hitchcock ci ha insegnato che la suspense si crea quando lo spettatore sa qualcosa che il personaggio non sa. Rodrigo Braas, regista di “Alma”, mette in pratica gli insegnamenti del maestro: lo spettatore, anche grazie alla musica, sa che alcuni piccoli eventi sono segnali negativi: quando Alma vede il triciclo sbattere più volte contro la porta, sorride, ma lo spettatore sa che c’è qualcosa che non va in ciò che sta accadendo, grazie alla messa in scena del regista, che diventa quindi un elemento fondamentale per la costruzione di tensione.

Altro esempio sono gli occhi delle bambole, che Alma non vede, ma che si muovono e la guardano. Segnali negativi sono anche le forme che le finestre delle case, in particolare la vetrina del negozio, che ricordano espressioni facciali spaventose, che, nel caso del negozio, rendono l’edificio quasi vivo. All’interno del film ricorrono diversi topoi del genere horror (la porta che si apre da sola, le bambole, il triciclo, l’edificio con tratti umani, ma anche la musica e la fotografia) che non cadono mai nel banale cliché, ma che sono tutti funzionali al fine del cortometraggio.

Oltre ad essere, come appena detto, un ottimo racconto horror costruito in modo eccellente, Alma ha il pregio, come molte altre opere, di avere diverse possibili interpretazioni. Le chiavi di lettura sono tante: da quella più filosofica, suggerita anche dal titolo del film “Alma” (anima), che riflette sull’anima rinchiusa in cattività, e su cui probabilmente il regista ha voluto lavorare, a quella più politica, arrivatami subito dopo la visione del corto, che forse è una mia invenzione un po’ troppo “Romeriana”, “Carpenteriana”, a cui il regista non ha neanche pensato, ma, che, in quanto interpretazione, non è ne giusta ne sbagliata. 

Alma è felice, si diverte, finché non scrive il suo nome in mezzo a mille altri nomi, inserendosi quindi nella massa, nella società di massa, e solo in questo momento si convince, o si illude, di aver bisogno di qualcosa; un qualcosa esposto in una vetrina, che però non ha niente in più di lei. Perché allora vuole raggiungere questo bene, che non aggiungerebbe niente alla persona che è? Forse pura curiosità infantile, ma in ogni caso, un falso bisogno.

Raggiunto questo obiettivo, ormai è troppo tardi, Alma (l’anima) è intrappolata, non può più sorridere né parlare, può solo guardare. E’ ormai stata catturata dal bene materiale, dal falso bisogno, dal negozio, è diventata come tutti gli altri. Ora il negozio, il consumismo, deve solo cercare un’altra vittima che abbocchi a ciò che è esposto in vetrina.

image_pdfVersione stampabile