Amazzonia, una foresta da ‘coltivare’

di Francesca Radaelli

L’Amazzonia brucia. Purtroppo, questa non è una novità solo delle ultime settimane. I riflettori mediatici forse possono aiutare, ma occorre  che siano puntati sul vero cuore del problema. E soprattutto che non siano dimenticati gli squilibri sociali, economici e civili che sono alla base di questa come di tante ‘emergenze’ ambientali.

La foresta non brucia solo nel Brasile di Jair Bolsonaro, ma anche nella Bolivia di Evo Morales, grande sostenitore dei diritti degli indios, che però recentemente ha autorizzato per decreto gli incendi controllati, allo scopo di liberare terre da destinare ad attività produttive.

Nel quinquennio 2010-2015 la foresta amazzonica si è ridotta di quasi 10mila chilometri quadrati l’anno. I 20 milioni di dollari di aiuti annunciati dai potenti del G7 – e rifiutati sdegnosamente dal Brasile – potrebbero davvero fare la differenza?

Quel che è certo è che le persone (e non solo le grandi imprese) continueranno ad abbattere alberi fino a quando ne scaturirà un interesse economico. Forse allora, in un contesto in cui la vera sfida non è tanto spegnere gli incendi ma impedirne l’accensione, per fare la differenza occorre piuttosto provare a modificare i paradigmi produttivi di un’economia ancora troppo basata sulla sussistenza da un lato e sulle monocolture dall’altro.

Sembra che l’unico modo per favorire uno sviluppo economico in America Latina sia eliminare quella foresta che da sempre è nota come il ‘polmone verde’ del mondo. È davvero così?

È davvero impensabile uno sviluppo economico delle comunità locali che non vada a distruggere l’ambiente, la biodiversità, le culture indigene?

Daniele Cesano (foto da Facebook)

Una buona notizia in questo senso arriva da un ingegnere italiano che vive in Brasile. Si chiama Daniele Cesano e ha pensato a un nuovo modello agroforestale per tornare a nutrire e rendere rigogliose le aree amazzoniche incendiate. Con la sua azienda, Adapta Group, ha ideato così Mais, acronimo che sta per Modulo Agroclimatico Intelligente e Sostenibile, un programma che salvaguarda sia le foreste sia la produttività agricola, eliminando gli interventi chimici sulla natura. Il Mais, sostiene Cesano, permette di creare resilienza climatica, ridurre il consumo di acqua e l’emissione di Co2, aumentare la biodiversità e in questo modo aggregare valore economico alle varie filiere agricole. 

Secondo l’ingegnere, diventa così possibile ripensare i modi di coltivare, basandosi sulla naturale stratificazione della foresta, fondare l’agricoltura su quello che la stessa natura offre, creando al contempo lavoro.  Cesano sostiene che le foreste siano sistemi autosostenibili e promuove un approccio basato sulla ‘sintropia’, in cui non servono input chimici perché le piante bastano a sé, e collaborano fra di loro: ognuna mette a disposizione alle altre ciò di cui hanno bisogno per proliferare, persino gli insetti. Gli stessi fertilizzanti sono prodotti dal materiale organico di tutte le piante.

 Grazie ai finanziamenti di un gruppo di imprese, insieme con istituzioni di cooperazione internazionale, Cesano sta avviando un progetto, chiamato Awi (Awisuperfoods.com.br), che punta a riforestare le aree distrutte dagli incendi attraverso un approccio non agricolo ma agroforestale, cioè altamente rigenerativo, che permette di ricreare l’habitat distrutto dal fuoco. In un’intervista al Corriere della sera l’ingegnere ha annunciato l’intenzione di lavorare con società che producono e trasformano frutta e vari tipi di prodotti. La sua proposta è aperta a tutte le imprese interessate a creare un nuovo modello agricolo sostenibile in Amazzonia.

Questa è insomma la sfida di Daniele: riuscire a ‘coltivare’ la foresta. Senza distruggerla. 

 

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