di Alfredo Somoza
Poche volte nella storia, forse mai, in così pochi giorni un presidente degli Stati Uniti è riuscito a polarizzare l’opinione pubblica non solo del suo Paese ma del mondo intero. Superano ormai la decina le categorie di persone offese o direttamente colpite dalle prime misure del successore di Obama. Molti scoprono con sgomento che Donald Trump sta provando a mettere in atto, e da subito, tutto ciò che ha promesso in campagna elettorale. Ed è questa la grandissima novità, un politico che continua a parlare chiaro anche ora che siede alla Casa Bianca, e soprattutto che vorrebbe mantenere fede agli impegni presi con gli elettori.
La cultura politica del neopresidente è meno che elementare. Da imprenditore non è abituato alla mediazione, ma a cercare di ricavare il massimo profitto oppure a far saltare il banco. Nella testa di Trump c’è una precisa scala di priorità: tutto è secondario rispetto a quell’America first che non riguarda solo la precedenza dei cittadini statunitensi rispetto agli immigrati, ma anche quella dell’economia locale rispetto all’economia globale. Ed è questo il punto di frattura più profondo nella storia recente della potenza americana. Il primo atto esecutivo firmato da Trump è stato l’uscita dal TPP, cioè dal trattato di libero scambio tra 11 Paesi del Pacifico voluto e negoziato da Barack Obama. Un capolavoro della diplomazia di Washington che avrebbe messo alle corde Pechino, isolando la Cina da un gigantesco mercato proprio nel suo cortile di casa. I cinesi, infatti, stanno ancora stappando bottiglie per festeggiare questo inaspettato regalo che offre loro la possibilità di candidarsi a guida della macroregione orientale. E possiamo considerare definitivamente morto anche l’altro grande trattato commerciale in discussione, il TTIP con l’Europa.
Ma non è solo sul fronte degli accordi commerciali che l’aria è cambiata. Trump ha rilasciato due dichiarazioni che potrebbero cambiare la geopolitica mondiale. Da un lato ritiene la NATO obsoleta – e chi può smentirlo! – dall’altro ha giurato che mai impegnerà il suo Paese in imprese belliche che abbiano come obiettivo rovesciare un regime senza avere una soluzione pronta per il dopo. E anche queste sembrano parole sensate, se si pensa ai disastri iracheno, libico, siriano, afgano. Ma la realtà è che non si tratta di saggezza, bensì della semplice applicazione dello slogan America first: nel senso di far prevalere l’interesse immediato degli Stati Uniti evitando di caricarsi dei costi legati al ruolo di gendarme del mondo. È una sorta di ritorno all’Ottocento, quando gli USA erano ripiegati su se stessi, ancora impegnati nell’espansione territoriale verso ovest, e gli interventi all’estero si limitavano a tutelare interessi contingenti in America Latina, Africa o Asia. Una potenza con meno pretese, che gira i cannoni della spesa pubblica verso l’interno del Paese recuperando risorse dai risparmi sul dispositivo militare.
Con Trump si sancisce così la fine definitiva dell’illusione dell’unipolarismo, cioè della possibilità che un solo Paese potesse tenere le redini dell’ordine internazionale. Nascerà un ordine multipolare, che c’è già nei fatti, con gli USA, la Russia e la Cina. Ma senza l’Europa. Ci aspettano una nuova Jalta e una nuova spartizione delle aree di influenza. L’America di Trump sarà più piccola dell’America imperiale di Bush o Clinton, ma più realistica: con questo presidente gli Stati Uniti non saranno più alleati scontati per nessuno. I cosiddetti valori dell’Occidente – la democrazia e il rispetto dei diritti umani come linee guida per sancire alleanze e combattere guerre – vengono consegnati alla Storia. Conteranno solo gli interessi, come ai tempi delle cannoniere. L’Europa ancora frastornata dalla Brexit, e a rischio sfaldamento, ne prenda atto subito.