Anche per pasta e riso la parola d’ordine è trasparenza

Elisa Fassi

Se c’è una cosa della quale gli italiani possono andare fieri è la severità nelle regole sugli alimenti. Non sono tutti così severi i paesi europei nell’applicazione delle regole per la tutela di agricoltori e consumatori. Anni di battaglie anche al Parlamento Europeo cominciano a portare qualche frutto.

Sono entrati pienamente in vigore i decreti che consentono ai consumatori di  conoscere il luogo di coltivazione del grano e del riso. La provenienza degli alimenti non è certo garanzia di qualità, ma sicuramente alcune informazioni aiutano a capire, e quindi a scegliere, cosa mangiamo. Dopo aver reso obbligatoria l’origine di alcuni alimenti sulle etichette di carni, pesce, frutta, verdura, uova, formaggi, latte, olio e passata di pomodoro, ora anche pasta e riso dovranno obbligatoriamente indicare il luogo di provenienza e di lavorazione.

Per quanto riguarda la pasta l’etichetta dovrà contenere indicazione sia  della coltivazione del grano, sia della macinazione (o molitura), per il riso il paese di coltivazione, quello di lavorazione e di confezionamento. Se tutte le fasi avvengono nello stesso paese sarà possibile indicare per es.: origine Italia. 

In Italia la produzione di pasta si aggira intorno a 3,2 milioni di tonnellate. Di questa una buona parte finisce sulle tavole degli italiani  (ne mangiamo 24 kg a testa in un anno) mentre il resto viene esportato. Negli ultimi anni Coldiretti ha però segnalato come, a causa della concorrenza sleale, l’esportazione di pasta sia diminuita. Anche riguardo la produzione di riso possiamo vantare dati di tutto rispetto: il 50% del riso prodotto in Europa  è italiano. Inoltre l’Italia è l’unico paese al mondo ad avere imposto una classificazione per varietà e oltre la metà della produzione  (56%) viene esportata in Europa.

Difendere l’origine e la qualità dei nostri prodotti è importante perché, inutile dirlo, la pasta italiana è la migliore del mondo e la qualità del riso non è da meno.

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