André Derain, la “belva” colta e sperimentatrice

di Daniela Annaro

Colto, sperimentatore, poliedrico, fra le figure più significative del movimento fauvista (da fauve, belve). E’ proprio come  iniziatore del Fauves  che conosciamo  il pittore francese André Derain (Chatou 1880 – Garches, Parigi 1954), ma la sua creatività non si è limitata solo ai colori accesi e alla rielaborazione dell’immagine.

I curatori della mostra di Mendrisio Simone Soldini, Francesco Poli, Barbara Paltenghi Malacrida, al Museo d’arte fino al 31 gennaio,  suggeriscono che Derain abbia formato con Henri Matisse e Pablo Picasso la triade di artisti che ha completamente cambiato l’arte del Novecento a livello mondiale.

André Derain, Le vieil arbre
André Derain, Geneviève à la pomme, 1936  

Che Derain fosse un innovatore non vi è alcun dubbio. Per cinque anni, tra il 1905 e il ’10 i suoi paesaggi dai rossi infuocati e i blu intensi hanno modificato profondamente la visione naturalistica dei pittori – gli Impressionisti – che lo avevano preceduto. Intorno a sé, raccoglieva consensi dei colleghi pittori.

Oltre a Matisse, anche Picasso lo ammirava molto: fu Derain che gli fece scoprire l’arte africana e, insieme, si mossero verso il Cubismo. Ma se Picasso per tutto il secolo, mantenne inalterata la sua fortuna e il consenso, per Derain, dopo la Seconda Guerra Mondiale, iniziò un  deciso declino provocato da un episodio  equivoco che lo fece passare per collaborazionista durante l’occupazione nazista.

Solo verso la metà degli anni Novanta del XX secolo, una critica più attenta e meno schematica lo ha rivalutato. Andrè Derain era “accusato” di essersi involuto dopo la stagione fauvista, di aver abbandonato  le avanguardie pittoriche, rifugiandosi nella tradizione figurativa. In realtà, non fu proprio così, anzi  fu anticipatore di nuove tendenze. Alla metà degli anni Dieci, dopo il disastro della  Grande Guerra, il maestro francese precorse i movimenti segnati dal ritorno all’Ordine, complice anche un viaggio in Italia, a Roma nel 1921. Un bisogno di sperimentare per trovare quello che lui definiva “il segreto delle cose“. Emblematico il Portait d’Iturrino (1914) qui sotto.

Portait d’Iturrino (1914)

La mostra di Mendrisio, in collaborazione con gli Archivi André Derain e grazie a importanti prestiti, propone una vasta retrospettiva sull’opera del pittore parigino:  in esposizione ci sono una settantina di dipinti, venti sculture (perché si è dedicato anche a questo come il suo migliore amico Alberto Giacometti) e venticinque fra progetti per costumi teatrali, illustrazione di libri e alcune ceramiche.

Poliedricità connessa con la sua vasta cultura: amava approfondire, studiare, ricercare. La retrospettiva svizzera ha scelto di privilegiare il periodo post-fauvista esponendo le opere per generi e non in scansione cronologica: natura morta, paesaggio, ritratti, nudi, sculture.

Per saperne di più, il link del Museo d’Arte di Mendrisio, qui.

3 novembre 2020

 

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