di Francesca Radaelli
“Venerdì 12 giugno ero già sveglia alle sei: si capisce, era il mio compleanno! Ma alle sei non mi era consentito d alzarmi, e così dovetti frenare la mia curiosità fino alle sei e tre quarti. Allora non potei più tenermi e andai in camera da pranzo, dove Moortje, il gatto, mi diede il benvenuto strusciandomi addosso la testolina…”.
Inizia così Il Diario di Anna Frank, un libro diventato uno dei principali simboli del periodo di persecuzioni a cui gli ebrei di tutta Europa sono stati sottoposti negli anni del nazismo.
Nata il 12 giugno 1929 a Frankfurt am Main in Germania, il giorno del suo tredicesimo compleanno, che anche nel 1942 cadeva di venerdì, Annalies Marie Frank ricevette in regalo un quaderno rilegato di cartone, che diventerà per lei non semplicemente un Diario, ma l’amica del cuore, quella a lungo sognata, a cui confidare i propri segreti e aprire la propria anima. All’epoca Anna, figlia minore di un’agiata coppia di ebrei tedeschi (il padre Otto era banchiere), viveva con la famiglia ad Amsterdam.
Nel 1933 i Frank erano stati costretti ad abbandonare la Germania, a causa delle leggi razziali emanate da Hitler, ed erano emigrati nella capitale olandese, dove Otto Frank aveva fondato una ditta commerciale. Nel 1940, però, i tedeschi avevano invaso l’Olanda, attuandovi le prime discriminazioni razziali e Anna e la sorella Margot avevano dovuto cambiare scuola, trasferendosi in un liceo ebraico. Proprio nell’estate del 1942, anno in cui Anna inizia il suo Diario, la famiglia Frank si trasferisce nell’alloggio segreto, “Il retrocasa” – proprio questo sarà il titolo della prima edizione del Diario – nell’edificio che ospitava l’ufficio di Otto Frank. Qui Anna, sua sorella e i suoi genitori vivono in clandestinità insieme ad altri amici fino al 4 agosto del 1944, quando la polizia nazista fa irruzione nell’alloggio, arrestandone tutti gli occupanti e trasferendoli nel campo di concentramento di Westebok. In seguito, i Frank vengono trasferiti ad Auschwitz, e da lì Anna e Margot sono spostate a Bergen Belsen. Qui, come ben sa ogni lettore che inizia la lettura del Diario, si conclude la vita di Anna, stroncata, come la sorella, dal tifo. Siamo nel febbraio 1945, tre settimane prima dell’arrivo delle truppe inglesi.
Terminata la guerra, Otto Frank, unico sopravvissuto della famiglia, fa pubblicare ad Amsterdam il diario della figlia, che era stato ritrovato all’interno del nascondiglio.
E proprio l’alloggio segreto, con i suoi spazi bui e colmi di oggetti, prende sempre maggiore corpo e consistenza pagina dopo pagina, riga dopo riga, parola dopo parola. Parole scritte da una ragazza che si trova a vivere lì la propria adolescenza, con le sue amicizie, i suoi capricci, i primi amori, l’insofferenza nei confronti degli adulti. Un luogo che è teatro di una vera e propria prigionia forzata, quella delle famiglie Frank e Van Daan, che vi hanno vissuto da reclusi senza mai uscire per due interi anni. Ossia per il tempo necessario alla scrittura di quel Diario che ci permette ora di guardare dal buco della serratura dentro alla quotidianità di quelle persone. Quel Diario rimasto tragicamente incompleto, stroncato all’improvviso come le speranze e la vita di una ragazza che sognava di fare la scrittrice e che è morta in campo di concentramento.
Francesca Radaelli