Anna Monia Alfieri, una paladina della libertà

di Elena Borravicchio

Io penso sempre a Rosa Parks, che, minacciata, rimase seduta su quell’autobus. In Italia assistiamo a una vera e propria “apartheid economica”, silente e poco conosciuta ma reale e pericolosa quanto quella razziale”. Il paragone con l’eroina statunitense dei diritti civili dice molto della passione con cui suor Anna Monia Alfieri, religiosa delle Marcelline, giurista, economista, docente e autrice di numerose pubblicazioni (l’ultima, fresca di stampa, intitolata “Lettera ai politici sulla libertà di scuola”, scritta a quattro mani con Dario Antiseri), porta avanti la sua battaglia per la libertà di scelta educativa delle famiglie.

Infatti, pur essendo chiaramente sancito dalla Costituzione Italiana, all’articolo 30, che “E` dovere e diritto dei genitori mantenere, istruire ed educare i figli”, nonché, all’articolo 33, che “La Repubblica detta le norme generali sull’istruzione ed istituisce scuole statali per tutti gli ordini e gradi. Enti e privati hanno il diritto di istituire scuole ed istituti di educazione, senza oneri per lo Stato. La legge, nel fissare i diritti e gli obblighi delle scuole non statali che chiedono la parità, deve assicurare ad esse piena libertà e ai loro alunni un trattamento scolastico equipollente a quello degli alunni di scuole statali”, i genitori in Italia si vedono negato un fondamentale diritto di scelta.

Non dimentichiamoci che anche l’articolo 26 della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo, del 1948, di cui è da poco ricorso l’anniversario, recita: “I genitori hanno il diritto di priorità nella scelta del genere di istruzione da impartire ai loro figli”. Suor Anna Monia non ha problemi a dire la verità: “Parliamoci chiaro – spiega – in Italia, alle scuole paritarie possono accedere soltanto i figli dei ricchi. E questo è illogico e anticostituzionale. Lo studio degli economisti De Civicum con Deloit, uscito sul Corriere della Sera il 23 settembre 2018, lo dice chiaramente, numeri alla mano: un allievo che frequenta la scuola pubblica statale costa ai cittadini, in tasse a loro carico, 10 mila euro annui, mentre per un allievo che frequenta la scuola pubblica paritaria (con risultati brillanti riconosciuti da Eudoscopio 2018) i cittadini spendono 480 euro annui. Ergo, le scuole paritarie fanno risparmiare allo Stato 6 miliardi di euro annui. Chi dice che, tagliando i soldi per la scuola paritaria si accrescono quelli per la scuola statale, mente sapendo di mentire”.

L’esperta in politiche scolastiche incalza: “Se io dico a un cittadino italiano che ha diritto di essere curato gratuitamente lui ci crede; ma se gli dico che ha diritto di scegliere liberamente la scuola nella quale iscrivere il proprio figlio, senza pagare un centesimo, perché questo è sancito dalla Costituzione, non ci crede, non lo sa!”. Le scuole pubbliche paritarie sono appunto “pubbliche”, diversamente dalle scuole private tout court, con rette di gran lunga superiori ai 7.000 euro annui (le rette delle scuole paritarie, invece, si attestano entro i 6.000 euro annui), poiché, come si legge nel testo della legge 62, del 2000, esse “per quanto riguarda l’abilitazione a rilasciare titoli di studio aventi valore legale (…) corrispondono agli ordinamenti generali dell’istruzione, sono coerenti con la domanda formativa delle famiglie e sono caratterizzate da requisiti di qualità ed efficacia (…)”.

Tali requisiti sono: un progetto educativo e un P.O.F.; bilanci in regola e pubblici; locali e attrezzature didattiche a norma; organi collegiali; iscrizione aperta a tutti gli studenti, anche con handicap; corsi completi; docenti abilitati e contratti di lavoro nazionali.

Resta un nodo cruciale: stabilire quale sia il costo standard per studente. Nel 2015, nel saggio intitolato “Il diritto di apprendere” della Ministra Giannini,  si è definita una quota di 3.500 euro per studente della Scuola dell’Infanzia, 4.000 euro per uno della Scuola Primaria, 5.000 euro per uno della Scuola Secondaria di I grado, 5.500 per uno della Scuola Secondaria di II grado. A dicembre 2017, poi, la Ministra Fedeli ha istituito un tavolo di lavoro sul costo standard con il plauso di Aprea e Gelmini. Nonostante cambiassero colori politici, l’attenzione dimostrata per una causa di interesse comune, non scemava. Fino ad oggi. Il confronto, portato avanti in maniera proficua è ora totalmente in stallo: “Questo è il governo del compromesso. Pur essendo sensibile al tema dell’educazione e avendo partecipato con me a innumerevoli convegni sul tema, l’attuale Ministro Bussetti non può fare nulla – dichiara suor Anna Monia senza peli sulla lingua – Questo è un tema scomodo, non c’è la volontà di dibatterlo: questo governo si basa sulla non conoscenza della situazione pregressa così strutturata. Se questo diritto non viene garantito, il motivo è principalmente che il nostro mondo, diviso e litigioso, di associazioni delle scuole paritarie cattoliche, che apparentemente avrebbe potuto chiederlo e avere una forza, negli anni in cui i governi si dimostravano disponibili al confronto e all’ascolto delle parti sociali, è stato danneggiato dalla sua stessa divisione interna, dovuta principalmente ad una ideologia  (che non va mai bene anche quando il contenuto è buono) e che ha manie di protagonismo. Questo atteggiamento ci ha impedito di arrivare con una proposta unitaria. Infatti quella del costo standard, che è l’unica proposta di buon senso, è passata, anche nel pensiero di chi si contrapponeva. L’attuale governo, invece, favorisce e legittima l’inerzia”.

Eppure, nel resto d’Europa, le cose vanno diversamente: in Austria, Belgio, Danimarca, Paesi Bassi, Finlandia, Germania, Francia, Svezia e Irlanda (paese quest’ultimo nel quale addirittura la scuola statale non esiste), il diritto per i genitori di scegliere liberamente la scuola per l’educazione dei loro figli è garantito dallo Stato e si declina, con le proprie specificità, a livello centrale o regionale, a seconda del Paese; inoltre gli stipendi dei docenti delle scuole statali e quelli delle scuole paritarie sono equiparati.

La prassi scavalca la teoria, che in Italia aveva anticipato di molto le altre nazioni europee: se l’articolo 33 della Costituzione Italiana, che sancisce il pluralismo educativo è del 1948, la Risoluzione del Parlamento Europeo sul diritto alla libertà di scelta educativa in Europa risale a soli 6 anni fa. Essa dichiara: “Il godimento effettivo del diritto all’educazione è una condizione necessaria affinché ogni persona possa realizzarsi ed assumere il suo ruolo all’interno della società. Per garantire il diritto fondamentale all’educazione, l’intero sistema educativo deve assicurare l’eguaglianza delle opportunità ed offrire un’educazione di qualità per tutti gli allievi, con la dovuta attenzione non solo di trasmettere il sapere necessario all’inserimento professionale e nella società, ma anche i valori che favoriscono la difesa e la promozione dei diritti fondamentali, la cittadinanza democratica e la coesione sociale”.

La libertà di insegnamento dunque è possibile solo se c’è libertà di scelta educativa e non viceversa! Peccato che, nonostante l’impianto giuridico ineccepibile, in Italia l’esercizio di tale diritto non sia ancora, de facto, garantito. “Occorre intraprendere la madre di tutte e battaglie – conclude Alfieri – dare ragione della centralità della famiglia, sostenere il suo diritto costituzionale di scelta educativa per i propri figli, in una pluralità di offerta formativa pubblica, statale e paritaria. È necessario considerare le spese per l’istruzione non come costi ma come investimenti in capitale umano. Investire in capitale umano significa avere a cuore il futuro dell’Italia. Investire richiede smarcarsi dalla logica dei costi cattivi. Ricordiamo che l’Italia è il paese che spende di più e peggio in Europa. È qui che si inserisce la chiave di volta: bisogna individuare il costo standard dell’allievo e dare alla famiglia la possibilità di scegliere tra buona scuola pubblica statale e buona scuola pubblica paritaria”. Una soluzione piuttosto concreta e ampiamente applicabile, che potrebbe tradursi in un voucher di cui dotare le famiglie a inizio anno.

Non si tratta di una bacchetta magica ma di una proposta accompagna da uno studio approfondito e capillare delle singole realtà della Scuola Italiana, nelle quali verrà declinata. Una tale rivoluzione, ad oggi compresa e apprezzata in maniera trasversale da politici di destra e di sinistra, sindacati e associazioni cattoliche e laiche, non porterebbe che benefici: un risparmio significativo per le casse dello stato, una concorrenza leale tra istituti, che ne innalzerebbero la qualità, una integrazione reale di studenti con difficoltà di vario genere e, finalmente, l’attuazione di un diritto che ci siamo dimenticati di avere.

Da buona economista, oltre che giurista, suor Anna Monia Alfieri è portata a porsi sempre questa domanda, nell’affrontare i garbugli: “cos’ha da guadagnarci?”. In questo caso lo chiediamo a lei che risponde candida: “Io proprio niente: per età e scelta di vita figli non ne ho e non ne avrò mai. È lo scandalo per l’ingiustizia che mi muove, lo stesso che animò i miei maestri, Falcone e Borsellino, nel combattere la mafia. Sa cosa disse Samantha Cristoforetti, una donna che ha avuto una lunga permanenza sulla Luna, una nostra ex allieva? Che a scuola aveva imparato a stare al mondo, cercando di cambiare il mondo dall’interno”.

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