di Alessandro Arndt Mucchi
Tutti, ma proprio tutti conosciamo Le quattro stagioni di Vivaldi. Magari perché siamo appassionati di musica barocca, magari perché siamo musicisti, o magari perché qualche volta siamo rimasti in attesa al telefono e ci hanno propinato le solite otto battute della Primavera fino a che non è caduta la linea, e abbiamo dovuto chiamare di nuovo.
Che sia per motivi oggettivi o soggettivi, insomma, tutti abbiamo presente almeno quelle otto battute dominate dagli archi. Fanno parte del sapere comune come l’incipit della quinta sinfonia di Beethoven, La Canzone del Sole e le lungaggini dei centralini, ed è normale immaginare che la fama di Vivaldi sia più o meno sempre stata su questi livelli. Del resto era conosciutissimo in vita, giusto? Insomma, giustino diciamo, ma non è così semplice.
Nato a Venezia il 4 marzo 1678, il “prete rosso” (così chiamato a causa della tonaca e dei capelli vermigli) era abbastanza noto in vita. E’ altrettanto vero, però, che la sua fama ha subito un repentino declino dopo la morte avvenuta nel 1741, tanto da venire praticamente dimenticato durante classicismo e romanticismo. I motivi precisi non sono noti, sappiamo che il pubblico dell’epoca lo considerava meno interessante del coevo Bach (il quale però stimava l’italiano e traeva ispirazione dalle sue opere), ma è anche il crescente interesse verso la nascente opera napoletana a spostare le attenzioni dal barocco portandole su qualcosa capace di intrattenere un pubblico più vasto.
Vivaldi, quasi offeso, decide di tentare la fortuna all’estero (dove già aveva trovato di che mangiare alla corte di varie famiglie nobili) dopo una serie di affari andati a monte, il più grosso dei quali a causa del suo essere un po’ troppo libertino per i gusti della curia veneziana. Era prete, sì, ma non diceva messa e si circondava di donne, un atteggiamento che chiaramente non faceva che inasprire i rapporti con quelli che formalmente erano i suoi superiori. La partenza per Vienna alla ricerca di Carlo VI nel 1740 finisce ugualmente male. L’imperatore muore pochi mesi dopo l’arrivo del compositore, lasciandolo senza protettore a doversi arrangiare quando tutto attorno prendeva il via un’aspra guerra di successione per il trono che sarebbe durata ben otto anni. Senza mecenate, senza soldi e senza speranza, Vivaldi inizia a vendere i suoi manoscritti ma regge ben poco: morirà nel luglio dell’anno successivo.
Il suo nome e le sue opere cadono rapidamente in un oblio di quasi duecento anni. Classici e romantici in larga parte lo trascurano e bisogna aspettare gli anni trenta (gli stessi dell’invenzione della segreteria telefonica) e l’arrivo del compositore Alfredo Casella per la riscoperta del suo lavoro. Nel 1939 viene inaugurata la tradizione della Settimana Musicale Senese all’Accademia Chigiana del bel borgo toscano, e proprio Vivaldi è il compositore attorno a cui girano le iniziative. Da lì è tutta in discesa, le segreterie telefoniche diventano sempre più comuni e Vivaldi sempre più conosciuto, merito anche della diffusione delle esecuzioni filologiche, quelle con strumenti d’epoca e liberate dalle interpretazioni stilistiche successive.
Il suo ruolo come dominatore indiscusso dei centralini invece è ancora oggetto di studio: in internet si trovano tracce di una ricerca che sarebbe stata condotta dall’Università di Verona in collaborazione con Wind dal titolo “Musica e attese telefoniche”, che lo piazzerebbe in pole position di fianco a Mozart e Verdi, ma a cercare di approfondire si sbatte contro il muro del tempo e non si trovano riferimenti precisi. L’iniziativa allora deve essere di tutti, la prossima volta che chiamiamo un centralino facciamoci caso.
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