Aprire le porte

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di Luigi Losa

Piano, per favore, non spingete. E’ notizia di qualche giorno fa che 80 parrocchie e 14 enti religiosi della diocesi di Milano,  raccogliendo gli appelli di Papa Francesco (Angelus del 6 settembre) e dell’arcivescovo Angelo Scola (pontificale dell’8 settembre ma anche nelle settimane precedenti) si sono dichiarati disponibili ad aprire le

porte ai migranti, pardon ai profughi. Che continuano ad arrivare sia in Italia sia in Europa, malgrado echi e clamori delle settimane di agosto e settembre si siano spenti perché il sistema mediatico così vuole.

Per la cronaca le parrocchie della diocesi di Milano sono 1108 e per quanto riguarda la zona pastorale di Monza e Brianza sono 153.

‘Putost che nient l’è mei putost’ raccomanda un vecchio adagio brianzolo (e non solo) per cui tanto di cappello a chi si è dato da fare e soprattutto si è fatto avanti.

Come la comunità di Verano B. che, con sindaco e parroco in testa, si è attivata e ha trovato un’abitazione da affittare per 18 mesi e mettere a disposizione di 6 profughi che dovrebbero essere arrivati giovedì 15 ottobre.

Nel nostro territorio ci sono anche altri casi di ospitalità offerta ai profughi e queste sono sicuramente belle e buone notizie, a fronte di una difficoltà palese e diffusa nell’accoglienza tout court.

Soprattutto appare evidente la impossibilità a sviluppare azioni, iniziative, progetti a livello dell’intero territorio (la Provincia per capirci) con conseguenti riflessi negativi sull’attività della rete RTI Bonvena interlocutore principale, se non unico, della prefettura monzese in questa emergenza.

Al fondo della questione c’è una sostanziale ‘chiusura’ a livello prima di tutto culturale (con riflessi di carattere sociale, politico e non ultimo anche ecclesiale) rispetto alla problematica dei profughi e più in generale dei migranti. Anche a Monza e in Brianza.

Di fatto superata l’onda dell’emotività e del tam tam mediatico si è tornati quietamente a operare sottotraccia, tra l’indifferenza e la neghittosità. Accampando problemi di ogni genere, timori, riserve, vere e proprie paure ma senza dirlo, sottacendo, aspettando che passi l’ondata di piena.

Che invece non passa e non passerà soprattutto perché il teatro principale di guerra del Medio Oriente è quanto mai incandescente e perché in ogni caso sull’Africa si spendono solo belle parole, buoni propositi e qualche offerta per la prossima giornata missionaria. Perché anche il nostro ‘aiutiamoli a casa loro’ ha il braccino quanto mai corto.

Tutta questa situazione, che mi sembra più una melassa appiccicosa, mi fa venire in mente Dante e la sua Divina Commedia: vuoi vedere che, gira che ti rigira, non siamo altro che ‘ignavi’, gente che non sa e non vuole schierarsi da una parte o dall’altra, peggio ancora ‘che mai fur vivi’ secondo la definizione del sommo poeta.

Il che mi pare peggio di un insulto: all’intelligenza, al nostro essere uomini, al nostro essere, pardon, dirci cristiani.

 

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