di Paola Biffi – foto di Giovanna Monguzzi
Andare in un luogo è come incontrare una persona, e incontrare una persona può essere, si sa, un viaggio in molti, mille luoghi, che inizia solo se ci si spoglia di ogni giudizio o aspettativa, decisi a volersi mettere in discussione. Ovvio è che, quando il luogo è il Parco di Monza e la persona è Papa Francesco, le aspettative ci sono eccome, i giudizi sono difficili da mettere da parte, tutta la giornata diventa una sfida a se stessi e alle proprie idee. Settecentomila persone una ragazza come me non le ha mai viste tutte in un solo prato, settecentomila a uno, e questo uno ha ottantun anni, questo uno rappresenta millenni, parla di infinito, di eternità.
È difficile restare saldi sulle proprie teorie quando si è parte di un calcolo tanto assurdo, eppure tanto reale. Mi chiedo come un uomo possa avere la responsabilità di insegnare a settecentomila fedeli cos’è l’amore, forse la fede non è poi così tanto un’illusione, una via di fuga dalla verità cruda, penso, forse è coraggio, non paura. Eppure la fede spaventa, perché altri uomini nella storia hanno radunato così tante persone in una piazza, e da una fede, si può dire, è nata una guerra, violenza, razzismo.
Generalizzare, però, è quanto meno semplificatorio, e quindi sì, la fede di sabato non ha fatto paura, perché l’uomo di sabato è prima di tutto umano e, con il respiro affannato e l’aria stanca, si presenta da subito nella sua fragilità, nella sua impotenza. Francesco stesso parla di impotenza nell’omelia, dicendo che quest’ultima ci “inaridisce l’anima”, in tempi pieni di speculazione in cui tutto, dai giovani, ai migranti, al lavoro, sembra ridotto in cifre: in questo deserto la gioia e la speranza cristiana sono possibili solo se non si è meri spettatori, “come tante persone che guardano il cielo aspettando che smetta di piovere”, ma diventando promotori di solidarietà, ospitalità e misericordia. Per essere partecipi di un cambiamento reale nel mondo, Francesco invita a guardare al passato per non dimenticare le proprie radici e per non rimanere prigionieri di discorsi che propongono solo la divisione come soluzione, “siamo milanesi sì, ambrosiani certo, ma membri di un popolo di Dio, multiculturale e multietnico”.
L’invito è a non essere indifferenti, a cercare nuove possibilità ai margini della società, dove Dio, come nel passo del vangelo, ha deciso di far nascere il suo nuovo popolo. Se è abbastanza banale dire che il sole di sabato è stato “portato dal papa”, non lo è pensare che un cielo senza nuvole è un cielo senza barriere, senza frontiere, un cielo che accoglie. Non sono credente, ma penso che chiunque non riconosca il coraggio e l’umiltà di un papa che predica di attivarsi per essere promotori di ospitalità, nel 2017, stia, per l’appunto, speculando su una Chiesa che Francesco non rappresenta, perché la Chiesa di questo uomo sta, finalmente, aprendo il suo cielo a tutti.