Aspettando la nascita di Gesù nella Comunità di don Mazzi

di Claudio Pollastri

L’attesa della nascita di Gesù vissuta accanto a un prete di strada dà un senso più terreno al Dono Divino. Si viene avvolti da una percezione diversa, più sincera, autentica. Anche l’annuncio, come ogni anno, della Lieta Novella dell’arrivo del Re dei Re come fosse l’Ultimo degli Ultimi ascoltato in preghiera accanto al sacerdote che dedica il proprio apostolato ad accogliere chi vive nelle periferie umane è un messaggio che conquista ogni sensibilità, abbatte ogni preconcetto e raggiunge direttamente il cuore.

La Veglia Celeste trascorsa con don Antonio Mazzi e i ragazzi della sua Comunità Exodus riaccende la speranza che il Bene nella notte più luminosa dell’anno possa ancora trionfare sul Male. “Anche se nel mio ovile – confessa con sorridente disincanto don Antonio – rimane una sola pecorella e devo uscire a cercare le altre novantanove. Un’esperienza che spesso mi fa vivere una profonda crisi di fede ma sono sorretto dalla speranza che alla fine qualcuna torni all’ovile anche se fuori le tentazioni sono tante e la notte è buia e piena di rischi”.

I ragazzi lo ascoltano e sembrano rasserenati dal tono diretto di don Antonio che sottolinea con l’accento cantilenante della sua Verona l’importanza delle parole del Vangelo che qui si trasformano subito in progetti da realizzare domani non in preghiere ripetitive mandate a memoria. Ogni frase sembra strappata alla lotta quotidiana contro la tentazione di ricadere che è sempre nascosta tra gli alberi e le siepi del Parco Lambro che ospita la Comunità. “La Messa della Vigilia – spiega don Antonio con una delle sue famose frasi controcorrente che gli procurano in egual misura elogi e critiche – non dovrebbe essere celebrata in una chiesa e nemmeno in un luogo sacro ma in un posto normale, profano, ancora meglio se povero e degradato perché Nostro Signore è venuto su questa terra per parlare agli ultimi, dare loro la speranza della salvezza. E se lo si vuole ricordare come prescrive il Vangelo le Messe andrebbero celebrate fuori, come facciamo noi questa notte in un refettorio dove ogni giorno si consuma il pane quotidiano e si incontrano storie sbagliate da riscrivere e strade storte da raddrizzare”.

Qui ogni gesto simbolico della celebrazione eucaristica riflette la fatica quotidiana del messaggio evangelico della speranza. Quando il pane viene spezzato e il calice viene alzato da don Antonio ricordando il sacrificio di Colui che è appena nato i ragazzi si raccolgono in preghiera e sembrano tentare il bilancio interiore della propria vita chiedendo perdono Lassù dei propri errori e il coraggio di ricominciare e andare avanti. Ma il perdono più profondo e le scuse più cocenti che quasi non riescono a pronunciare sono rivolte con lo sguardo velato di commozione per la consapevolezza di avere recato sofferenza ai propri genitori che percorrono con loro il calvario di una rinascita che può trovare la forza per riuscirci soltanto nelle parole del Vangelo e nella vicinanza concreta, pratica e rudemente stimolante del loro prete di strada.

I ragazzi ascoltano don Antonio e sorridono e stringono forte che non vorrebbero più lasciare le mani dei propri genitori che per questa occasione speciale possono stare accanto ai propri figli sorreggendoli moralmente in un cammino interiore molto delicato e sempre a un amen dal precipizio. Aleggia una calda e quasi irreale atmosfera di fiduciosa attesa in questo refettorio-grotta dove l’altare è un tavolaccio da falegname recuperato dalla bottega-laboratorio sul quale solitamente si lavora il legno come faceva Giuseppe, il padre del Nascituro.

Il clima di fiducia che non sempre si trasforma in fede – ma in questa Notte Magica possono succedere anche i miracoli dell’anima – è accentuato da un coro gospel di ragazzi che accompagna un rito eucaristico avvolto nell’intimità esclusiva di un mistero vissuto realmente e segnato dalla richiesta d’aiuto vero, aspro, sincero e drammatico lontano anni-luce da un mondo fatto di sola apparenza con i canti chiassosi, gli incensi arroganti, le opulenze degli addobbi festosi e l’ipocrisia degli auguri di bontà universale regalati per posa ma senza spessore umano.

E arriva il momento più inteso e importante di tutto il mondo cristiano, la nascita di Gesù. Anche questo rito qui viene interpretato in un clima ecumenico e tutto particolare. C’è silenzio tutt’intorno, il coro gospel tace. Con passo lento entra nel refettorio-grotta e percorre tutto il tragitto un ragazzo musulmano che lascia intuire nel suo sguardo intenso e ancora incredulo l’importanza del ruolo che sta vivendo. Tiene tra le mani un piccolo cesto di vimini dove nella paglia è adagiata la piccola statua sorridente del Bambinello. Il ragazzo ogni due, tre passi guarda preoccupato la statuina e la sorregge con attenzione commossa come fosse un vero neonato temendo di farla cadere. Il ragazzo avanza lento accompagnato da un silenzio intenso, colmo di preghiere intime, suppliche sussurrate e speranze universali.

Quando il ragazzo è a metà percorso don Antonio spiega il momento che si sta vivendo con suggestiva intensità “…la celebrazione della nascita del Salvatore è pienamente rappresentata in questa circostanza perché raffigura lo scopo della missione terrena del Signore… questo ragazzo di fede diversa che sta portando all’altare il Bambinello ha scoperto, ancora giovanissimo, tutto il male che il mondo può sbattere in faccia a un adolescente facendogli vivere l’Inferno già su questa terra… anche se penso che un Dio buono e generoso come quello che è appena nato non può avere creato un posto così brutto… sono certo che il Dio dell’Amore perdonerà tutti…”.

La concretezza evidente di un rito che qui diventa realtà quotidiana diventa palpitante allo scambio del segno di pace dove il gesto non è simbolismo formale ma una promessa di vita futura e lo sforzo di guardare avanti. C’è qualche lacrima calda di perdono sui volti dei genitori e sorrisi tirati sulle  labbra dei ragazzi che salutano in Gesù Bambino la nascita di una nuova speranza. Un padre allunga quasi con pudore il braccio intorno al collo del figlio in un gesto di calda protezione. I loro sguardi s’incontrano e si uniscono nella richiesta di aiuto verso Chi può e sa capire. Momenti di tenerezza gelosamente intima che un cronista deve rispettare perché i ragazzi e i loro cari soffrono davvero e piangono davvero e sperano davvero. Possiamo limitarci a registrare, non senza qualche commozione di troppo, l’abbraccio che non vorrebbe finire mai di una mamma che non riesce a staccarsi dal figlio adolescente che ha ritrovato proprio qui, in questa Santa Notte Silente, nel refettorio-grotta del prete di strada che conclude la sua Messa tutta speciale rivolgendosi direttamente Lassù per chiedere aiuto per i suoi ragazzi e un perdono particolare per sé “… lo so, caro Gesù, che certe volte non riesco a capirti e finiamo per litigare, ma sei stato tu a farmi così…”.

Attimi di suggestione coinvolgente che vengono spezzati dall’applauso spontaneo dei ragazzi che ringraziano don Antonio per avergli restituito il senso della vita. I loro sguardi traditi dai contrabbandieri del Male camuffato da Felicità oggi hanno ritrovato la forza di sperare. Cercano lassù oltre il cielo di presepe costellato di puntini luminosi la nuova via da seguire e poi s’abbassano e corrono più in là oltre le vetrate del refettorio-grotta dove i fari delle macchine che sfrecciano sull’autostrada che costeggia il Parco sembrano tante piccole Stelle Comete che rischiarano un mondo d’asfalto che almeno nella notte in cui è nato Gesù non fa paura.

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