“Attila” di Verdi apre la stagione della Scala

di Marco Riboldi

Quest’anno la stagione operistica del teatro milanese più celebre apre con un lavoro verdiano non particolarmente popolare. 

Con la modesta preparazione dell’appassionato, certo non con la competenza dell’esperto che non sono, vorrei proporre una breve presentazione di quest’opera, che si potrà seguire anche sulla R.A.I.(eh sì, ogni tanto, per fortuna, la televisione non è solo cuochi e fratelli più o meno grandi).

“Attila”  apparve in scena per la prima volta a Venezia  al teatro La Fenice, il 17 marzo 1846. Verdi, nato nel 1813, era ancora giovane, ma aveva già alle spalle, tra le altre composizioni, “Nabucco”, “Ernani”, ” I Lombardi alla prima crociata”.

L’opera ha un successo soddisfacente, ma piuttosto breve,  finendo, dopo gli anni sessanta dell’ottocento,  tra quelle meno rappresentate. Una certa ripresa si ha a partire dagli anni sessanta nel secolo XX, con una serie di rappresentazioni in teatri di rilievo.

La storia è molto “risorgimentale” e solenne: nella guerra dei romani contro Attila era facile scorgere in filigrana al patriottismo antiaustriaco. In più, qui Verdi trova un nuovo spirito romantico che si intuisce nella atmosfera dell’opera.

Verdi fu conquistato dalla trama, che si ispira ad un libro di Zacharias Werner.

Nelle lettere  del Maestro si capisce con quanto entusiasmo si avvicini al lavoro, dando istruzioni minuziose ai librettisti, curando con estrema attenzione tutti i particolari, fino a richiedere all’amico  scultore Luccardi, che si trova a Roma, di  controllare:”O negli arazzi o nelli affreschi di Raffaello ci deve essere l’incontro di Attila con Leone. Io avrei bisogno del figurino d’Attila: fammi dunque due segni colla penna, poi spiegami  colle parole ed i numeri i colori del vestiario: soprattutto ho bisogno dell’acconciatura della testa.

Incontro di Leone Magno con Attila – Raffaello

Il compositore  interviene in modo deciso sul testo del libretto, affidato prima a Francesco Maria Piave, (che sarà anche autore di “Rigoletto”, “La Traviata” ed altri), poi a Temistocle Solera e infine tornato a Piave.

Il compositore ama i personaggi decisi, a tutto tondo, che si misurano con vicende a forte coloritura: in tal senso, i protagonisti di quest’opera sono esemplari della sua drammaturgia. Dirà un musicologo contemporaneo all’autore, Alfredo Unstersteiner, che  “L’elemento drammatico é perciò la sua dote principale, ed in questo specialmente  il patetico, il tragico. Le passioni umane più violente, i contrasti più terribili sono espressi  coi mezzi più potenti e vivi della musica. Essa è allora calda, palpitante,commovente, alle volte maschia e fiera, alle volte dolcissima ed elegicamente  lirica”.

L’orchestra verdiana troverà in quest’opera anche accenti di musica descrittiva, soprattutto nei momenti in cui dipingerà la natura (descrizione del temporale e del sorgere del sole), con mezzi nuovi ed effetti che suggeriscono una maturazione del gusto artistico del compositore e dell’epoca che volge verso  la seconda metà del XIX secolo.

Le due voci principali, il basso Attila e la soprano Odabella, affrontano una partitura che richiede voci duttili, capaci di forza, ma anche di momenti di grazia. 

Il basso non canta troppe note profonde, e richiede agilità che lo avvicinano ad un baritono: ha a sua disposizione molti momenti importanti, che ne fanno un protagonista. Il soprano deve avere  forza per alcuni momenti drammatici, ma anche la capacità di essere elegante e tenera nei momenti più intimi (quando si rivolge a Foresto).

L’inizio d’opera è piuttosto impegnativo, con l’aria  “Santo di patria indefinito amor…Allor che i forti corrono“, che è un momento molto importante.

Da non sottovalutare la parte del baritono (Ezio, generale romano) che ha il privilegio di momenti interessanti, nei quali dare saggio di potenza e di eleganza (ad esempio il bel duetto con Attila all’inizio dell’opera “Tardo per gli anni e tremulo” e l’inizio del secondo atto).

Il tenore (Foresto) ha una parte tutto sommato contenuta, ma deve saper cantare usando bene la voce nei momenti più delicati:  non è un tenore “trionfale” e deve  evitare gli acuti  “sfoggiati” dove  l’autore non li desidera (difetto come noto ormai dilagante e che troppo spesso i direttori lasciano correre: ma, come ben dice il maestro Muti, in Verdi ogni nota è studiata scientificamente e non va violentata per il gusto dello spettacolo fine a se stesso).

Altri personaggi sono il “vecchio  romano” Leone (basso) e Ultino (tenore), schiavo di Attila. Da non dimenticare l’importante ruolo del coro, che ha spazi significativi e che, sicuramente, vedrà gli ottimi coristi della Scala in un’altra delle loro memorabili prestazioni

In quest’opera, Verdi  si mostra capace di rinnovare lo stile  dell’opera italiana, scomponendo in modo originale lo schema tipico del melodramma. Soprattutto nell’ultimo atto vi è un succedersi di numeri musicali (un duetto, poi un terzetto, infine un quartetto) del tutto inedito. E’ un Verdi che sta maturando il suo proiettarsi sulla scena europea e che prefigura le innovazioni e le invenzioni future. In Attila si trovano in particolare anticipazioni di quel che sarà il futuro “Macbeth”.

Tutto sommato, direi che si tratta di un’opera che potrà riuscire gradita anche a chi è meno  abituato al melodramma. La solennità (si parla di andamento “maestoso”) la potenza e la forza di taluni momenti e la liricità di altri  saranno facilmente apprezzabili.

Tre note finali.

Il maestro Chailly ha deciso di far eseguire un’aria  per tenore che Verdi introdusse in seguito, appositamente per il cantante Moriani: tale aria (“Oh dolore!) dovrebbe sostituire, all’inizio del terzo atto, quella “Che non avrebbe il misero”.

Nell’esecuzione, inoltre, all’inizio del terzo atto, appariranno poche battute scritte, un po’ per omaggio, un po’ per scherzo, da Rossini, il quale le inviò a Verdi dicendogli di usarle come volesse.

La regia, a quanto annunciato, porrà l’opera in un tempo imprecisato tra le due guerre mondiali: vedremo all’opera un regista, Davide Livermore, che ha realizzato molti lavori interessanti e di buona fattura.

La trama e i brani

L’opera  (che dura un paio d’ore, intervalli esclusi) si compone di un prologo e tre atti.

Nel prologo vediamo Attila, che ha appena conquistato Aquileia,  chiedere conto ai suoi di aver disubbidito all’ordine di non fare prigionieri: un gruppo di donne infatti viene condotto in catene al suo cospetto. Uldino spiega che queste sono “vergini guerriere” che hanno conquistato il rispetto degli Unni combattendo a fianco dei loro uomini. Attila resta ammirato, soprattutto dopo aver sentito Odabella spiegare lo spirito pugnace delle “donne italiche” (“Santo di patria indefinito amor…Allor che i forti corrono”). Su richiesta di Odabella restituisce le armi alle guerriere, anzi ad Odabella dà la sua stessa spada, con la quale la donna giura a se stessa di vendicare i suoi morti.

Arriva a questo punto Ezio, generale romano, che propone ad Attila una spartizione del  potere (“Tu prendi l’universo, resti l’Italia a me”, all’interno del duetto che inizia con “Tardo per gli anni e tremulo”).

Attila rifiuta e prevede la conquista di Roma.

La scena si sposta poi a Rio Alto, dove vediamo gli eremiti accogliere gli scampati dal massacro di Aquileia, guidati da Foresto, che si dispera per Odabella (“Ella in poter del barbaro”). E’ in questa fase del prologo che la musica descrive prima la tempesta sul mare, poi l’alba.

La scena si chiude con l’aria di Foresto e del coro “Cara patria già madre e reina”

Primo atto

Siamo in un campo vicino a Roma, dove Odabella, dopo aver visto il fantasma del padre, ucciso  (“Oh nel fuggente nuvolo”) incontra Foresto e, in un impegnativo duetto, risponde alle sue accuse di tradimento (“Sì son quell’io, ravvisami” – “Oh t’inebria nell’amplesso”) spiegando che segue Attila solo  per poterlo uccidere alla prima occasione, il che riporta la pace tra i due.

Nel frattempo, Attila vive un sogno premonitore, che confida ad Uldino: ha sognato che un vecchio, nei pressi di Roma, gli ha impedito di raggiungere la città. (“Mentre gonfiarsi l’anima”)

Mentre, convocati i soldati, sta preparandosi ad avanzare verso la città (“Oltre quel limite”), da lontano  arriva una processione, guidata dal vecchio Leone: Attila è  spaventato dall’avverarsi del suo incubo.(“No, non é sogno”, finale a più voci e coro)

Secondo atto

Ezio, sdegnato per  la notizia dell’accordo che sta stringendosi tra l’imperatore Valentiniano ed Attila, (“Dagli immortali vertici”) decide con Foresto di attentare alla vita dell’Unno. (Che brami tu? – E’ gettata la mia sorte”)

Durante un banchetto nel campo degli Unni (Coro: “Del ciel l’immensa volta”), funestato da tristi presagi e da un improvviso vento che spegne tutti i fuochi, Foresto informa Odabella che tra poco Attila sarà ucciso dalla coppa avvelenata  preparata per lui. Odabella, che vuole per sè la vendetta, salva Attila avvisandolo e chiedendo grazia per Foresto. Attila accetta, ma impone a Odabella di sposarlo. (Finale dell’atto con un susseguirsi di brani a più voci e coro)

Terzo atto

Oresto è triste per il comportamento di Odabella (“Oh che dolore!”).

Arrivano Ezio ed Odabella, che viene ripudiata da Foresto, nonostante ella professi il suo amore per lui. (terzetto)

Quando Attila arriva i tre lo fermano, per ucciderlo. Il re Unno si sente tradito e ricorda ciò che ha concesso a ciascuno di loro: il matrimonio e il regno a Odabella, la grazia a Foresto, la salvezza di Roma ad Ezio.  E’ la donna  a scagliarsi sul re Unno e a ucciderlo, per vendicare il padre e tutti i morti di Aquileia, mentre i soldati romani entrano nel campo barbaro.(“Non involarti, seguimi” e quartetto conclusivo).

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