di Francesca Radaelli
Non sembravano volersi fermare gli applausi del pubblico del Manzoni al termine di Ausmerzen, lo spettacolo con Renato Sarti e Barbara Apuzzo che nella serata di venerdì 7 febbraio ha inaugurato la stagione Altri Percorsi del teatro monzese. In platea moltissimi giovani studenti delle scuole superiori, alcuni impegnati nel corso di critica teatrale tenuto da Valeria Ottolenghi e organizzato dal teatro stesso. Tutti profondamente colpiti al cuore dalla drammaticità delle parole e delle immagini evocate sul palco.
Il testo, scritto da Marco Paolini e ripreso dal Teatro della Cooperativa di Renato Sarti, racconta del primo sterminio di massa nazista: l’Aktion T4. Questo il nome con cui passa alla storia un vero e proprio programma di eugenetica che, partito nel 1933 nella Germania di Hitler, si concluse nel 1941, dopo l’eliminazione di 70mila tedeschi fra malati mentali, portatori di handicap, disabili e bambini affetti da malformazioni. Di qui il titolo dello spettacolo. “Ausmerzen” in tedesco significa “da marzo”: a marzo c’è la transumanza delle greggi, e le pecore e gli agnelli che rallentano la marcia devono essere soppressi.
Un programma di eugenetica
Il programma Aktion T4 fu un vero e proprio precursore della “soluzione finale” della questione ebraica, messa in atto con i campi di sterminio a partire dal 1942. Precursore non solo a livello temporale, ma anche sul piano ideologico e – terribile a dirsi – tecnico, con la sperimentazione delle prime camere a gas con l’uso del monossido di carbonio.
Ideologie razziste, del resto, pervadono la scienza medica di inizio Novecento, in tutta Europa e anche Oltreoceano, come spiega Renato Sarti in scena, indossando un elegante completo non troppo diverso da quello che dovevano portare i medici organizzatori del programma – di sterilizzazione, prima, e di sterminio, poi – che avrebbe dovuto portare alla salvaguardia della razza tedesca. La scena stessa sembra uno studio medico: una scrivania piena di cartelle di documenti – tutti i pazienti sottoposti al progetto T4 furono schedati meticolosamente e anche per questo la loro storia poté essere ricostruita – , una sorta di bilancia che funge anche da appendiabiti, ma anche uno schermo su cui scorrono le immagini degli ospedali della morte dove erano deportati i soggetti da eliminare, coloro che non rientravano nei “parametri”.
Lo sguardo di Barbara
E poi c’è lei, in scena: Barbara Apuzzo, attrice affetta da artrogriposi (al di fuori, quindi di ogni “parametro”), il cui commento ora drammatico, ora pungente, fa da controcanto al racconto delle diverse fasi dell’Aktion T4 condotto da Renato Sarti.
“Io sarei una di quelli”, dice a un certo punto con lo sguardo puntato sulla platea. Il pubblico lo ha già capito da un po’, ma in platea il gelo scende ugualmente.
Forse lo sguardo di Barbara ha l’effetto di inchiodarci alle poltrone perché il tema non è poi così lontano da noi. Non lo è, per esempio, quando sul palco vengono riportati i “conti” che si facevano nella Germania, prostrata dalle conseguenze economiche della prima guerra mondiale, su quanto costassero i disabili, gli invalidi e i cosiddetti malati di mente allo Stato. Questi costi sono poi messi in rapporto allo stipendio di un operaio medio: l’assistenza ai disabili ha un costo per lo Stato, per i sani, che pure vivono in povertà nella Germania del dopoguerra. Forse anche per questo riesce a farsi largo presso l’opinione pubblica un programma che si propone di togliere ai genitori – seppur con l’inganno – i figli affetti da malattie e disabilità (ma a volte bastava anche una lieve balbuzie). La notizia della loro morte improvvisa arriverà in seguito per posta, senza la possibilità di contattare nessuno dei responsabili delle strutture in cui sono stati ricoverati.
Nel 1941 il progetto Aktion T4 termina: forse subire l’assassinio dei propri familiari in nome della purezza della razza è troppo per il popolo tedesco. Inizia però la stagione di Auschwitz e dei campi in cui a essere eliminate erano altre “impurità” che minacciavano la razza tedesca: ebrei, zingari, slavi, omosessuali…
La continuità tra le due “azioni” è evidente.
La storia si ripete?
Lo è anche guardando al mondo di oggi, come viene sottolineato a più riprese nel partecipato dibattito, moderato dallo storico conduttore di Caterpillar Massimo Cirri, che coinvolge, al termine dello spettacolo, gli attori e il pubblico. Il momento vede la partecipazione anche del ricercatore Matteo Schianchi dell’Università Bicocca di Milano, che ha dedicato molta parte delle sue ricerche alla storia della disabilità.
C’è continuità oggi, si dice, tra l’attribuire la responsabilità di un incidente aereo a politiche di inclusione nelle assunzioni dell’aviazione americana e il pensare di deportare milioni di migranti illegali su un determinato territorio. E queste idee hanno vasta eco anche nell’Europa e nell’Italia che celebrano la Giornata della Memoria, ricordando gli orrori del nazismo. Oggi non si parla più di eugenetica, forse, ma di “costi” evidentemente sì.
Ricordare la Storia dovrebbe permettere di cogliere alcuni campanelli d’allarme nel presente: a sottolinearlo sono proprio i giovani spettatori presenti a teatro, nei loro interventi al termine dello spettacolo. Il senso della Giornata della Memoria del 27 gennaio dovrebbe essere proprio questo: Renato Sarti e Barbara Apuzzo hanno colpito nel segno.