“Per me l’arte è un’ossessione e, poiché noi siamo esseri umani, siamo noi i soggetti della nostra ossessione”. Quando Francis Bacon pronuncia questa frase ha quasi sessant’anni.
A venti scopre Picasso, a quaranta comincia a dipingere sul serio, a sessanta produce le sue opere migliori. Ma, e questa è una certezza, la pittura gli serviva “per sbarazzarsi dei suoi fantasmi più intimi” (David Littell).
E il dato biografico aiuta a comprendere l’arte di questo maestro del Novecento. Francis nasce a Dublino il 28 ottobre del 1909. Il padre, inglese di origini nobili, é un capitano di fanteria. Un uomo duro, violento. La madre, figlia di ricchi commercianti, è succube e Francis è un bimbo gracile, ammalato di asma cronica, costretto a prendere morfina per affrontare i dolori della malattia. Un bambino deriso e considerato “una femminuccia”, un’etichetta che segna la sua vita. La malattia gli impedisce di seguire studi regolari, ma non di capire la propria natura: a 14 anni viene iscritto al college di Cheltenham, in Inghilterra, e qui comprende di essere omosessuale come è consapevole dei suoi interessi: di certo non seguirà le orme del padre, col quale è in pieno conflitto, tanto da essere cacciato da casa.
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Omosessuale dichiarato a 15 anni, prostituto d’alto bordo a 17, “un reietto della società borghese” o, meglio, un ribelle che cerca di esprimere il proprio dolore e la propria disperazione attraverso i pennelli, i colori, il disegno, la fotografia. Dopo aver studiato alla Scuola d’Arte Saint Martin, scoperto Picasso e imparato il francese, a Londra trova lavoro come interior designer. E come architetto di interni espone per la prima volta nel 1929. Francis ha solo vent’anni, ha già avuto numerosi amanti, che lo hanno aiutato anche economicamente, magari organizzando serate dedicate al gioco d’azzardo.
Per un’intera vita dipinge corpi (umani e di animali).
Un magazzino di occhi, bocche, pance, glutei, corpi dimezzati e macellati, presi dall’obitorio dell’esistenza.
Ma come scrive David Littell (Trittico edito da Einaudi) in un libro avvincente “la figura non è il soggetto del quadro, ma l’oggetto”. Il soggetto, insomma, è la pittura.
Bacon guarda a Velasquez, a Goya, a Garcia Lorca, a Picasso, come dicevamo. Con gli Spagnoli condivide un sentire comune, oltre il quale c’e’ la sua storia personale.
“Già il fatto di essere nato è una cosa di estrema ferocia” dice Francis Bacon. E questa disperazione la ritroviamo sulle sue tele.
Potete immaginare come sono accolte, soprattutto all’inizio, le sue opere. Di fronte alla drammaticità dei dipinti, ancora nel 1975, in occasione di una mostra al Metropolitan Museum of Art, il New York Times lo mise alla berlina: “trafficante di immagini sessuali” lo definisce.
Bacon dipinge per capire se stesso, come già nel passato e, ancora nel presente, facevano e fanno i grandi artisti contro la tediosità dei benpensanti. Un urlo, un inno alla propria liberazione.
Daniela Annaro