di Paola Biffi
Nella mia forse ancora breve esperienza da studentessa ho capito che ci sono due tipi di studiosi e scienziati: quelli che danno e quelli che tolgono, ci sono scienziati di cui devi studiare le teorie e le risposte che danno alle domande, e scienziati che invece scardinano quelle teorie, filosofi che ti uccidono Dio, astrologi che ti cambiano posizione nell’universo, e non ti danno una risposta, sembrano sussurrarti nell’orecchio attraverso i secoli “’mo son cavoli tuoi, vattela a cercare, la risposta, se la trovi fammi un fischio”.
Certo, il vaccino della poliomelite è così ed è un fatto, una ragazzina come me ha poco da indagare a riguardo, così come le formule matematiche e fisiche, la storia, la geografia e tanto altro, ma c’è anche un’enorme dimensione più umana delle cose, della realtà, che è bello che ognuno ricerchi da sé, guardando il mondo, la sua quotidianità, elaborando proprie teorie perché quello che gli studiosi dicono non basta.
È stata questa mia passione per le cose non dette ad avvicinarmi a Bauman al liceo, un sociologo contemporaneo che ieri, 9 gennaio 2016, ci ha lasciato alla veneranda età di 91 anni.
La dichiarazione più provocatoria ma anche più realistica della sua teoria è che la società in cui viviamo, chiamata “post–moderna” è una società liquida, in cui tutto fluisce velocemente, di cui la dimensione principale è l’incertezza.
Per quanto possa essere spiazzante, è facile ritrovarsi nel concreto testimoni di queste parole, soprattutto da giovani: più controllo ci sembra di avere, sul nostro futuro, sulle nostre relazioni, più il controllo ci sfugge dalle mani, entra nel flusso caotico del mondo sociale, e noi per primi ci perdiamo di vista, disorientati perché sommersi di informazioni disordinate. Una società liquida produce identità liquide, instabili come le foto profilo di Facebook: si arrendono alla morale “day by day”, agli slogan da appiccicarsi in fronte per trovare un’appartenenza, uomini da un lato disillusi dall’altro incapaci di trovarsi un senso, con le bussole impazzite per il sovraccarico di direzioni.
Bauman è un uomo del secolo scorso, nato nel 1925, ha visto il Novecento prendere la rincorsa e incalzare sull’umanità, dalla guerra al boom economico, dalla globalizzazione alla più recente immigrazione, da Kennedy a Trump, da Bob Dylan a Eminem, e ha saputo incastrare tutto ciò nella fitta trama post-moderna, arrivando a comprendere che la chiave di lettura del mondo non è armonia, ma disordine:
“Penso che la cosa più eccitante, creativa e fiduciosa nell’azione umana sia precisamente il disaccordo, lo scontro tra diverse opinioni, tra diverse visioni del giusto, dell’ingiusto, e così via. Nell’idea dell’armonia e del consenso universale, c’è un odore davvero spiacevole di tendenze totalitarie, rendere tutti uniformi, rendere tutti uguali. Alla fine questa è un’idea mortale, perché se davvero ci fosse armonia e consenso, che bisogno ci sarebbe di tante persone sulla terra? Ne basterebbe una: lui o lei avrebbe tutta la saggezza, tutto ciò che è necessario, il bello, il buono, il saggio, la verità. Penso che si debba essere sia realisti che morali. Probabilmente dobbiamo riconsiderare come incurabile la diversità del modo di essere umani.”
Così, un vecchietto dagli occhi brillanti saluta il suo tempo, mettendo a tacere tutti, ma dando anche a tutti la possibilità di parlare, di chiedere e chiedersi, per prendere il ritmo del mondo così veloce e fugace, e con l’incertezza ballare.