di Francesca Radaelli
“Un imboscato della storia”. Così Benito Mussolini definì Benedetto Croce. Oggi il filosofo abruzzese, nato a Pescasseroli il 25 febbraio 1866, è considerato uno dei maggiori pensatori del Novecento in tutta Europa. Negli anni del fascismo rappresentò un punto di riferimento per i difensori della libertà e dei valori liberali.
Proviene da una famiglia benestante e conservatrice, legata al regime borbonico e fortemente cattolica. Ancora ragazzo, la sua vita è sconvolta dal terribile terremoto di Casamicciola che nel 1883 si abbatte sulla sua famiglia mentre è in vacanza a Ischia. Croce, che ha 17 anni, sopravvive ma nella catastrofe rimangono uccisi entrambi i genitori e la sorella.
Non si laureò mai, la sua è una formazione da autodidatta che avviene in gran parte nelle biblioteche. Apprezza la filosofia hegeliana e l’idealismo tedesco e nel 1903, insieme a Giovanni Gentile fonda la rivista La Critica, che vuole proporre un’alternativa al positivismo che caratterizza la cultura universitaria del Paese. Nel 1902 esce l’Estetica, in cui teorizza la sua concezione dell’arte come intuizione ed espressione. Secondo Croce la realtà è storia e ogni uomo contribuisce al progresso dell’umanità. Lui stesso non si sottrae, di fronte agli eventi del suo tempo. Di area liberale, schierato tra i non interventisti alla vigilia del primo conflitto mondiale, nel primo dopoguerra è chiamato a guidare il ministero dell’Istruzione nel governo Giolitti. Ben presto però al potere sale il fascismo di Mussolini.
Inizialmente Croce lo considera un movimento passeggero, che potrebbe avere anche effetti positivi sul Paese e le istituzioni liberali ma, dopo il delitto Matteotti, decide di schierarsi tra gli oppositori del fascismo. E così, quando Giovanni Gentile pubblica il Manifesto degli intellettuali fascisti, sottoscritto da importanti personalità dell’epoca (Luigi Pirandello, per esempio), Croce risponde con il Manifesto degli intellettuali antifascisti. I due amici di un tempo sono ormai irrevocabilmente separati da divergenze politiche e filosofiche. Mentre Gentile sostiene il regime di Mussolini, Croce diventa una voce autorevole dell’antifascismo italiano, in parlamento e non solo.
Da senatore vota contro le ‘leggi fascistissime’, nel 1932 pubblica la Storia del secolo XIX, considerato una sorta di manifesto del liberalismo. Negli anni del Ventennio subisce diverse intimidazioni, – tra queste la devastazione della sua casa napoletana ad opera degli squadroni fascisti – ma gode di una sorta di immunità dovuta alla fama raggiunta all’estero. Considera fascismo e nazismo una malattia morale che ha corrotto il corpo d’Europa.
Nel secondo dopoguerra continua a dare il proprio contributo alla politica, come voce indipendente rispetto alle istanze dei partiti maggiori: da sempre anticomunista, nel 1946 in assemblea costituente si esprime anche contro l’inserimento del Concordato nella costituzione e in difesa della scuola pubblica. Nel 1946 inaugura a Napoli l’istituto di studi storici, cui dona la sua biblioteca personale, con l’obiettivo di sostenere la formazione dei giovani studiosi. Muore a Napoli nel novembre 1952.
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