di Francesca Radaelli
L’idea di bene comune, di qualcosa che appartiene a tutti e di cui tutti siamo responsabili, scorre in sottofondo in tutta l’enciclica Laudato Si di papa Francesco. Sono stati proprio i beni comuni i protagonisti del primo appuntamento, lo scorso 31 gennaio, del nuovo ciclo di incontri formativi organizzato da Caritas Monza e dedicato proprio alla Laudato Si.
Del resto, ‘beni comuni’ è un’espressione che si sta facendo strada con sempre maggior forza nell’immaginario contemporaneo. A maggior ragione in tempi di pandemia e di crollo delle certezze individuali.
Protagonisti dell’incontro, introdotto da don Augusto Panzeri e moderato da Fabrizio Annaro, sono stati Francesco Gesualdi, allievo di don Milani, editorialista di Avvenire e fondatore del Centro Nuovo Modello di Sviluppo, che ha partecipato alla serata in collegamento da remoto, e Marco Meregalli, presidente Cooperativa Novo Millennio e coordinatore Comitato Monza e Brianza Confcooperative Milano e dei Navigli.
Beni comuni: cosa sono?
“Esistono dei beni comuni? E come identificarli?” è la domanda con cui Fabrizio Annaro dà inizio alla conversazione.
Francesco Gesualdi spiega che ci sono due prospettive da cui guardare il concetto di beni comuni. Bene comune, in primo luogo, è tutto ciò che dobbiamo utilizzare in modo condiviso. Un esempio è l’aria che respiriamo: la natura la mette a nostra disposizione gratuitamente e senza la possibilità di frazionarla. È un bene che utilizziamo dunque in maniera condivisa e abbiamo l’interesse affinché quest’aria non sia inquinata. Da una parte, dunque, bene comune sono una serie di risorse che è compito di ciascuno preservare affinché ciascuno ne possa godere, anche coloro che verranno.
Dall’altra parte, però, bene comune è anche ciò di cui abbiamo bisogno per vivere in maniera dignitosa. Beni comuni sono quindi la Pace e la Giustizia. Nei tempi che viviamo abbiamo capito che lo è la Salute, poiché solo se gli altri stanno bene possiamo star bene anche noi. Poi la Democrazia, la Libertà, la libera informazione. Oggi in un pianeta a rischio anche la Sostenibilità, come ci ricorda la Laudato Si.
Obiettivo di opera nel Terzo Settore è perseguire questo bene comune, spiega Marco Meregalli. Collaborando per progettare nuovi interventi a livello ambientale e sociale sul territorio, facendo leva su elementi come il principio di sussidiarietà, che permette agli attori territoriali di dare il proprio contributo. E nel corso dell’incontro i riferimenti alle azioni concrete compiute nell’area brianzola non mancano, dal fondo Hope per migliorare l’accoglienza dei migranti ai tentativi di sostenere una politica abitativa più inclusiva, fino ai percorsi formativi per portare il mondo della cooperazione nelle scuole del territorio.
Il suolo come bene comune
Un territorio, quello brianzolo, che vanta un triste primato per quanto riguarda il consumo di suolo e risulta inoltre essere il primo anche per diffusione di ipermercati, come viene ricordato nel corso dell’incontro, insieme al primato europeo per l’inquinamento dell’aria detenuto dalla Pianura Padana.
‘Cementificando’ il suolo, ricorda Francesco Gesualdi, non si sottraggono solo terreni per le attività agricole, ma si sottrae anche biodiversità, mettendo a rischio l’ecosistema planetario che si fonda sulle specie viventi. Insomma si persegue un sistema di sviluppo che distrugge la natura, che è ciò che ci consente la vita.
Ma il suolo viene utilizzato anche per costruire le strutture della mobilità, che oggi si basa in gran parte su strade e autostrade, trasporti concepiti su gomma e in modo individualistico. Un modello da rivedere, a causa del suo impatto sul suolo e sull’ambiente. “Bisogna chiedersi quale sia la mobilità giusta per l’essere umano”, afferma Francesco Gesualdi. “Abituarci a percorrere a piedi le piccole distanze, usare la bicicletta per le medie distanze. Per gli spostamenti lunghi, guardare non solo al tipo di motore, più o meno ecologico, ma anche all’aspetto della condivisione del viaggio. La condivisione dovrebbe diventare un sistema di vita, da perseguire anche sul piano politico”.
Altro aspetto è l’abitare. Se vogliamo ridurre il consumo di suolo, occorre ridurre anche la quantità di edifici che costruiamo. “Prima di costruire nuove abitazioni”, dice Gesualdi, “occorre sistemare le esistenti e far sì che i proprietari accettino di darle in affitto, a tutti, anche alle persone considerate di serie B. Come comunità cristiana dobbiamo costruire reti solidarietà per fare in modo che abbia una casa anche chi non può pagare l’affitto”. Inoltre le stesse caratteristiche degli edifici e delle città condizionano le forme della vita sociale e di relazione che si produce all’interno della loro cornice. Per questo è importante prevedere spazi comuni, in cui ci si possa incontrare e creare comunità e reti di solidarietà.
“Occorre mettersi nell’ottica di far circolare la ricchezza e pensare al bene comune, e non solo agli interessi personali, nel realizzare le attività”, fa eco Marco Meregalli, illustrando alcuni interventi di inclusione abitativa realizzati in Brianza. “La casa deve essere un bene per tutti, non solo per chi detiene il potere economico. Come diceva San Basilio, se uno possiede un pozzo lo deve far funzionare, permettendo a tutti di prelevare l’acqua. Altrimenti l’acqua si trasforma in liquame inutilizzato e il pozzo non serve più a nessuno”.
L’Uguaglianza come bene comune
Secondo Francesco Gesualdi dobbiamo abituarci a considerare anche l’Uguaglianza sociale un bene comune. I dati sulla distribuzione della ricchezza dimostrano che la disuguaglianza la fa da padrona. Tra nazioni e tra classi sociali. Ci sono Stati come il Lussemburgo che hanno un reddito pro capite di oltre 120mila euro/anno e Paesi come il Burundi con 180 euro/anno. Il 10 % della popolazione mondiale detiene il 78% del patrimonio mondiale, mentre il 50% più povero deve accontentarsi del 7%.
“Responsabile di questa situazione è chi si trova all’apice delle strutture di potere, ma ognuno di noi, che ci sta dentro, crea le condizioni per cui questa disuguaglianza possa stare in piedi”, ammonisce Francesco Gesualdi. “Ogni volta che scegliamo un prodotto che costa meno, sosteniamo questa macchina. Le imprese fanno di tutto per strapparci il consenso, abbiamo quindi un potere come consumatori. Sta a noi orientare questo potere nella giusta direzione, dando valore al commercio equo, ma anche sostenendo per esempio la campagna ‘Abiti Puliti’ sulla filiera degli abiti”.
C’è poi la questione fiscale. La distribuzione della ricchezza non passa solo attraverso il rapporto tra lavoratore e datore di lavoro, ma anche attraverso la fiscalità. È il prelievo fiscale che determina la capacità dell’istituzione di provvedere ai bisogni di tutti, per esempio quelli sanitari, al centro dell’attenzione nei nostri tempi di pandemia. “Quando si discute di riforma fiscale è importante farsi sentire e prendere posizione. Come cristiani dobbiamo occuparci di più di Politica, non quella della spartizione di poltrone ma quella con la P maiuscola, che si occupa dalla polis, della costruzione della città”.
Anche accogliere o non accogliere i migranti è un altro modo di distribuire la ricchezza: “Quando li lasciamo morire in mare, il messaggio che lanciamo è chiaro: vogliamo tenere la ricchezza tutta per noi”.
Marco Meregalli racconta le azioni messe in campo in Brianza proprio nell’ambito dell’accoglienza: “Abbiamo compiuto un grosso lavoro di rete, creando vere e proprie borse lavoro e formazione anche attraverso una sorta di auto tassazione. Bisogna però superare la ‘rincorsa dell’emergenza’ e sviluppare meglio l’intervento verso i bisogni delle persone più fragili, programmando meglio l’attività territoriale. Anche in campo sanitario stiamo lavorando per integrare sempre più l’aspetto sociale nel settore sanitario”.
Ripensare il Lavoro
L’incontro è ricchissimo di idee e spunti, alcuni sollecitati anche dagli interventi del pubblico in presenza e in remoto. Pensare ai beni comuni significa mettersi completamente in discussione, ripensare radicalmente il modo di vivere a cui siamo abituati. Se davvero, come dice Gesualdi, stiamo vivendo il tramonto del sistema capitalistico neoliberale, occorre costruire un mondo nuovo al più presto.
E molto suggestiva è l’idea di ripensare il Lavoro, come bene comune da condividere. “Siamo come pesci in uno stagno in cui l’acqua sta finendo. Dobbiamo imparare un nuovo modo di respirare”, sottolinea Francesco Gesualdi. “Abbiamo visto che è impossibile garantire a tutti un’occupazione a 40 ore a settimana. Dovremo iniziare a ridurre l’orario di lavoro, e distribuire meglio anche questa risorsa. Deve cambiare il modello economico, il livello dei salari, la fiscalità, il costo dei servizi e dei beni sul mercato. Ma contestualmente è il modello culturale che deve cambiare. Non dovremo più pensare il lavoro come ciò che serve per guadagnare più soldi, ma come ciò che deve permetterci di soddisfare i nostri bisogni. Dovremmo metterci nell’ottica di consumare meno risorse possibili lavorando il meno possibile. Un intero modello culturale è da smantellare e ricostruire, anche attraverso l’educazione e la scuola”.
Politica e ‘artigianato’
Una rivoluzione di questa portata non può che passare attraverso l’arena politica e i due relatori affermano più volte l’importanza di presidiarla, a tutti i livelli, dal nazionale al territoriale. Consapevoli che per un’azione volta ai beni comuni è importante creare un senso di Comunità, mettendo da parte un modello individualistico che ha dimostrato tutta la sua inadeguatezza.
L’invito con cui don Augusto conclude la serata va proprio in questa direzione: farsi ‘artigiani del bene comune’. Del resto, l’espressione utilizzata dal cardinale Delpini nel discorso di S.Ambrogio si addice molto bene alla gente di Brianza, terra di artigiani laboriosi. Si tratta solo, in fondo, di cambiare direzione a questa laboriosità artigiana.