di Daniela Zanuso
“Ho solo fatto i film che mi sarebbe piaciuto vedere.”
Cinquant’anni anni di carriera, 30 film, 75 sceneggiature, 7 Oscar più una decina tra Golden Globe, Leoni d’Oro, David di Donatello,
Grand Prix de Cannes. Parliamo di uno dei mostri sacri del cinema hollywoodiano del dopoguerra: Billy Wilder.
Nasce a Sucha, nella Galizia austroungarica, il 22 giugno 1906 da famiglia ebrea agiata. Dopo gli studi a Vienna, inizia la carriera di giornalista sportivo per proseguire poi come reporter a Berlino dove avrà occasione di scrivere le prime sceneggiature cinematografiche , a prendere parte alla lavorazione di lungometraggi e documentari e a conoscere e lavorare con alcuni registi tedeschi.
Nel 1933 la fuga a Parigi dopo l’ascesa al potere di Hitler. Pagherà anche lui un caro prezzo al nazismo: la madre, la nonna e il patrigno moriranno nel campo di sterminio di Auschwitz.
Raggiunti gli Stati Uniti l’anno successivo, grazie anche all’interessamento e all’ appoggio di attori e registi tra i quali Ernst Lubitsch, di cui Billy Wilder è stato l’indiscusso erede, prosegue con successo la sua carriera e insieme a Charles Brackett formerà una delle più fortunate coppie di sceneggiatori hollywoodiani. Poi la regia con il film Frutto proibito e i primi due oscar dal film drammatico Giorni perduti a cui seguiranno altri capolavori di genere drammatico.
Verso la metà degli anni ’50 la svolta nella direzione della commedia. Ha lanciato talenti come Audrey Hepburn in Sabrina (dove inaugura la serie delle rivincite dei brutti) e icone di bellezza come Marylin Monroe, Quando la moglie è in vacanza e A qualcuno piace caldo, che la faranno diventare la “donna dei sogni” degli americani e non solo.
Dopo una serie di fortunatissime commedie e qualche noir, (Irma la dolce, baciami stupido,l’appartamento vincitore di tre oscar), sarà l’esordio della coppia Lemmon-Matthau (Non per soldi… ma per denaro, Prima pagina) per finire con Buddy Buddy (1981) che regalerà l’oscar a Matthau e con il quale Wilder chiuderà la sua carriera.
La struttura della commedia wilderiana, leggera solo ad una visione superficiale, è perfetta nel meccanismo ma feroce nella sostanza e ha sempre un punto di partenza solido, a volte tragico.
Wilder è pungente, ironico, forse anche un po’ cattivo nei confronti del mondo del cinema e dei suoi miti (Fedora e Viale del tramonto) e la sua formazione europea gli consente di osservare gli Stati Uniti, i loro valori e il loro stile di vita con aria disincantata e riuscire a tradurre in chiave leggera i vizi, le ambiguità, gli inganni e i compromessi.
Ha giocato con gli stereotipi morali della commedia, ha ridimensionato e lentamente logorato il mito degli anni Cinquanta, ha fatto emergere quello che di inconfessabile e immorale cerchiamo di nascondere di noi, ha ridicolizzato il perbenismo, è stato autore un po’ spudorato e critico acuto di un mondo solo in apparenza rosato e scintillante. Aveva 96 anni quando è morto il 27 marzo 2002.