di Mattia Gelosa
Quasi per caso mi sono imbattuto in questo spettacolo, in scena in questi giorni a Dalmine e in tour a breve con alcune date nelle province lombarde, ma posso solo dire che il caso questa volta mi ha fatto un regalo prezioso.
Sembra assurdo, ma riascoltare certe storie del nostro paese, seppur note, è ogni volta utile e profondamente toccante. Il merito, in questo caso, va non solo al ricordo di quel grande uomo che fu Giovanni Falcone, ma anche alla bravura di Dario Leone, autore e attore in un monologo che dura quasi 100 minuti, ma che scorre rapido come un corto teatrale.
“Bum ha i piedi bruciati” (di e con Dario Leone, coprodotto dal Teatro alle Vigne di Lodi e patrocinato dalla Fondazione Falcone), osserva la vita del magistrato e della Sicilia dei primi anni ’90 da fuori, a metà fra il coinvolto e il distaccato, grazie alla voce di un siciliano qualunque. Parla e racconta con vigore, accompagna la narrazione a corse e ha una recitazione fisica che rende ancora più dinamico un testo che scorre spesso sulla linea dell’ironia, perché Falcone e Borsellino, si dice, erano davvero persone spiritose e piene di autoironia.
Ovviamente, non mancano il dramma e la commozione, soprattutto quando si scopre come attorno a una sola figura ruotino storie di dolori che hanno attraversato la Sicilia come una rete: “Bum” ci porta fra gli orrori della mafia a 360° e lo fa anche grazie ad inserti originali come stralci di TG o di interviste.
Perché la mafia, in fondo, è come una coperta pesante gettata su un paese per intrappolare e imprigionare tutti, uomini comuni e istituzioni, onesti e disonesti. La scelta si divide fra il cercare di liberarsi da questa cappa oppure pensare che tutto sommato lì sotto, al caldo, si sta quasi bene.
Non voglio svelare nulla della trama di quest’opera, tra l’altro intuibile, ma vale davvero la pena andare ad esplorare aspetti nuovi di questo eroe italiano che è stato anche un pioniere del metodo investigativo. L’idea di usare per le indagini la figura del pentito o il motto “Follow the money” sono metodi ancora oggi sfruttati in tutto il mondo, tanto che l’FBI ha dedicato a Falcone una statua nel suo quartier generale.
Leone si muove e tiene le fila di una narrazione quasi a flusso di coscienza che, oltre alla cronologia della biografia dell’eroe, sfocia in alcune parentesi in cui si finisce di parlare anche di calcio e di Totò Schillaci. Il tutto, però, è ben amalgamato nel contesto e non vi è mai un senso di frammentario nel monologo.
Lo spettacolo ha un taglio particolare che lo rende adatto anche ai ragazzi (direi dalle medie in su), ha un bel testo che sa catturare l’attenzione, una scenografia semplice ma ingegnosa nel suo diventare assolutamente versatile (luci e scene di Massimo Guerci), un ottimo interprete che meriterebbe forse più spazio nel panorama teatrale.
A luci spente, decisamente è una performance che vale la pena andare a vedere e che non andrebbe relegata, come spesso accade a questi spettacoli, solo al palinsesto delle giornate istituzionali sulla mafia, ma che ha un respiro che la rende adattabile a qualunque momento dell’anno.
Perché in fondo, la mafia esiste sempre e non si ferma mai, ancora adesso dopo più di vent’anni.