di Mattia Gelosa
Il 10 maggio 1931 nasceva a Trevico, nei pressi di Avellino, Ettore Scola. Trasferitosi da subito a Roma, collabora sin da quando è adolescente al Marc’Aurelio, rivista satirica per la quale aveva scritto fino a pochi anni prima anche Fellini, disegnando vignette umoristiche che gli fruttavano qualche soldo utile per completare gli studi di giurisprudenza.
La sua carriera, però, è ben lontana dalle aule forensi e già dalla fine degli anni ’40 collabora con la RAI scrivendo le scenette per la radio e per la tv di Alberto Sordi. L’attore romano sarà uno dei protagonisti del suo primo successo, Riusciranno i nostri eroi a trovare l’amico misteriosamente scomparso in Africa?, commedia ispirata a un episodio di Topolino e che racconta di un annoiato editore romano che si mette in cerca del cognato (Nino Manfredi) scomparso da tre anni in Angola.
Sarà solo nel 1974, però, che Scola dirigerà quello che è considerato il suo capolavoro, C’eravamo tanto amati: Manfredi, Gassmann e la Sandrelli sono le punte di diamante di un cast tutto di altissimo livello di questo film che mostra uno spaccato di 30 anni di storia italiana attraverso le storie di tre amici. Molte le comparse di spicco, come Fellini e Mike Bongiorno, e le citazioni, in particolare riferite all’appena scomparso Vittorio De Sica. Vinse 5 nastri d’argento e il premio Cesar (l’oscar francese) come miglior film straniero e lancia così il nome di Scola nel panorama internazionale.
Nel 1976 tocca a Brutti, sporchi e cattivi, con uno strepitoso Nino Manfredi, un’analisi cruda e grottesca allo stesso tempo della miseria in cui vivono i poveri dei sobborghi romani. Fu premiato a Cannes per la miglior regia, regalando a Scola il più importante premio vinto in carriera.
Nel 1977 il regista deve riconfermare la sua bravura e ci riesce con Una giornata particolare, film con la coppia Gassman – Loren che riflette sull’Italia in età fascista: lui è un omosessuale antifascista e colto, lei è madre di sei figli ed è una fascista che si è fatta plagiare dal regime a causa della sua scarsa cultura. La solitudine dei due porta a una fugace, ma intensa, storia d’amore che avrà, però, un finale assai amaro: Gassman è deportato per via del suo orientamento sessuale e il marito di lei torna pronto per essere ancora asservito nelle sue voglie sessuali e di paternità senza che lei sia davvero felice di fargli da moglie. Da sottolineare l’eccelsa bravura dei protagonisti, con la Loren addirittura imbruttita per la parte, ma anche il grande apporto dato dai bellissimi temi musicali, tutti firmati dal maestro Trovajoli. Il film vinse ancora il Cesar come miglior opera straniera e nella stessa categoria ottenne anche il Golden Globe, mentre non conquistò il tanto ambito Oscar a cui era inizialmente candidato.
Il tema del tempo che passa e l’analisi della vita intima di una famiglia italiana ritornano nel 1988 con La famiglia, di nuovo con Vittorio Gassman e la Sandrelli e con la star internazionale Fanny Ardant, moglie di Truffaut. Carlo è un bambino che nasce nel 1906 e che vedremo crescere fino a quando non compirà 80 anni. Il film segue la sua vita a salti di circa dieci anni ogni volta, rendendo l’opera facilmente suddivisibile in 9 parti, vinse 6 premi Donatello, 6 Nastri d’argento e svariati Ciak d’oro, mentre nuovamente la candidatura all’Oscar non portò alcuna statuetta.
La sua filmografia, lunga e importante, ha continuato a riempirsi di opere pluripremiate e acclamate dalla critica e conta come ultimo lavoro il film Che strano chiamarsi Federico, ritratto di Fellini presentato alla Biennale di Venezia nel 2013.
Questo grande autore italiano, forse messo un po’ meno in luce di quanto meriti davvero, avrà ancora qualche altro lavoro da regalarci per farci di nuovo ridere ed emozionare?