di Isabella Procaccini
“Chissà perché, io a dieci anni sapevo che il mio pelago doveva essere il teatro e che al di fuori di quello sarei stato un povero disgraziato. Lo sapevo. Ci sarà qualcuno che è così, io sapevo che era questo ma non sapevo perché…
e non voglio nemmeno saperlo, non me ne frega niente!”
Parla così di se stesso Luca Ronconi, attore, regista e studioso. Il maestro è scomparso il 21 febbraio 2015, privando il teatro di uno dei suoi più grandi innovatori. Certo, se lui diceva di non sapere perché il suo pelago doveva essere il teatro, il suo pubblico, i critici e gli studiosi lo sapevano e lo sanno benissimo.
Ronconi è riuscito a unire alla passione, all’amore per il teatro il suo genio. Lo si può amare o odiare, non esiste la via di mezzo davanti a un suo allestimento. Ronconi ha preso il teatro e l’ha completamente ribaltato, rivoluzionato mettendone sempre alla prova i meccanismi. Basti pensare allo spettacolo che per primo ha permesso di puntare l’attenzione su di lui: è il 1969, anni difficili per il teatro di regia e Ronconi decide di mettere in scena una versione tutta sua dell’Orlando Furioso di Ariosto. Ma l’Orlando Furioso non è un testo teatrale, è un poema cavalleresco e per giunta lunghissimo e articolatissimo.
Qui entra in gioco la genialità e quello che intendevo prima con “mettere alla prova i meccanismi del teatro”. Ronconi vuole vedere come e quanto il testo riesca a comunicare e, per farlo, debutta in una chiesa sconsacrata in cui allestisce scene simultanee tratte dal poema, mescolando attori e pubblico nello stesso spazio. Lo spettatore si trova spiazzato, non sa quale sia il corso degli eventi e deve costruirselo da solo. Alla fine ognuno porterà a casa il proprio Orlando Furioso, quello che egli stesso ha deciso di vedere.
Ecco la rivoluzione, ecco lo scardinamento di ogni paradigma teatrale, la genialità. Ronconi dà vita a un nuovo modo di fare teatro perché rompe l’accomodante finzione scenica per mettere alla prova la capacità comunicativa dello spettacolo e la prontezza del suo pubblico. Questo intento accompagnerà il regista per tutta la sua carriera, anche quando, nel 1999 diventa direttore del Piccolo Teatro di Milano. Certamente un rischio… il Piccolo è uno Stabile con un’impronta ben precisa data da Paolo Grassi e Giorgio Strehler nel 1947: “Un teatro d’arte per tutti”.
Ronconi non è per tutti, Ronconi è uno sperimentatore, un perfezionista, un regista che non permette al suo pubblico di mettersi comodo in poltrona… Ronconi è scientifico, freddo, autoreferenziale; certamente comunica, ma in modo molto sottile.
Il Piccolo non può che avere paura ma decide di rischiare; il suo regista non propone strade facili, in tutti i sensi, ma queste, imboccate inizialmente con un po’ di coraggio porteranno a 15 anni di magnifiche regie. Ora staremo a vedere. Buon compleanno maestro!
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