di Claudio Pollastri
Oggi, venerdì 2 marzo, Michael Gorbaciov compie 87 anni. Gli ho fatto gli auguri. Mi ha risposto. In quell’istante ho avvertito la stessa profonda emozione di quando, nel 1995, l’avevo incontrato a Roma.
E ho subito accettato la richiesta di portare una testimonianza all’evento che l’Istituto Culturale dei Rapporti Italo-Russi ha organizzato per il compleanno dell’ultimo Presidente dell’Urss, l’acronimo dell’altisonante Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche. Un ricordo che primeggia tra le pagine più toccanti della mia raccolta di interviste ai potenti della Terra. Un incontro che mi aveva regalato una serena ma ferma lezione di vita.
Per la semplicità con cui Gorbaciov parlava della svolta epocale inferta al suo Paese che aveva provocato l’effetto-domino della caduta dei muri ideologici e materiali delle Nazioni satellite. Una persona dai modi gentili, disponibile a ogni domanda, sorridente, affabile. Visto da vicino sembrava l’uomo della porta accanto che incontri in ascensore, più che il leader capace di ridisegnare i confini della storia.
Nella visita romana con l’appendice diplomatica in Vaticano, per l’atteso e fondamentale colloquio con il Santo Padre, Gorbaciov era accompagnato dalla dolce e sorridente Raisa, la moglie prematuramente scomparsa nel 1999 a 67 anni stroncata dalla leucemia. S’intuiva una perfetta intesa tra i due. Si capivano con uno sguardo.
C’era complicità come nei matrimoni riusciti dove l’amore è supportato dalla condivisione di ideali e di abitudini di vita privata. Raisa che, caso unico nella storia dell’Unione Sovietica, rivestiva il ruolo della first lady si era lasciata andare a confidenze sul loro matrimonio che durava da 42 anni, di quando si erano incontrati la prima volta alla facoltà di Filosofia dell’università di Mosca, della figlia Irina.
Gorbaciov mi parlava dello stupore suscitato dalle bellezze di Roma, della cordialità propositiva dell’incontro con Papa Giovanni Paolo II, della magnificenza di certi monumenti, chiese comprese. Come tutti gli stranieri aveva speso parole di apprezzamento anche per la nostra cucina che Raisa addirittura adorava tanto da farsi regalare una ricetta speciale per l’amatriciana da un cuoco ancora incredulo per l’insolita richiesta.
Quando l’aveva ritenuto opportuno, Gorbaciov aveva affrontato il discorso del terremoto politico causato dalla sua Perestrojka e dalla Glasnost, due termini che avevano fatto il giro del mondo diventando sinonimi di trasparenza e democrazia e gli avevano fatto vincere il Premio Nobel per la Pace nel 1990. Ne parlava con gli occhi lucidi per la consapevolezza di avere compiuto un’impresa straordinaria, portata avanti ostinatamente per il bene del suo popolo. Ma si percepiva nel suo sguardo un velo di malinconica rassegnazione nel constatare che certe scelte dolorose ma inevitabili non sarebbero state capite o volutamente strumentalizzate.
Considerazioni informali che venivano sottolineate dal sorriso di Raisa che non si limitava ad ascoltare ma interveniva con sottolineature e commenti o dissensi perché anche lei aveva militato nel partito e di politica e di economia ne sapeva quanto il marito.
Una stretta di mano forte come solo i russi sanno dare e un abbraccio occidentale a Raisa avevano concluso la mia intervista. Mentre salutavo i coniugi Gorbaciov che come due anonimi turisti russi osservavano ammirati il Cupolone accarezzato dal ponentino, avevo l’impalpabile ed euforica sensazione che in quel momento la cronaca si era trasformata in storia.