di Francesca Radaelli
“I due libri su’ quali ho più meditato e di cui non mi pentirò mai d’essermi servito furono il Mondo e ‘l Teatro”. Parola di Carlo Goldoni, il grande commediografo nato a Venezia il 25 febbraio del 1707, e divenuto celebre in tutta Europa per capolavori come La locandiera, Le Smanie per la villeggiatura, Le Baruffe chiozzotte. Padre della ‘Riforma’ che segnò il passaggio dalla commedia dell’arte alla commedia moderna, non c’è alcun dubbio che Carlo Goldoni fu uomo di mondo e di teatro.
Di famiglia borghese, figlio di un medico e nipote di un notaio, non era certo un letterato dalla vita aristocratica, di quelli che ‘non si sporcano le mani’ come lo furono per certi versi i suoi avversari di dispute e polemiche letterarie Pietro Chiari e Carlo Gozzi. Al contrario, Goldoni il mondo lo conosceva eccome, sapeva cosa significa trovarsi sommersi dai debiti e che cosa comporta il dover lavorare per vivere, tanto nelle aule di tribunale come avvocato – professione che esercitò per un certo periodo della sua vita – quanto dietro il sipario di un teatro.
Ed era proprio il Teatro il posto in cui Carlo Goldoni si sentiva a casa sua e, quando il capocomico Gerolamo Medebach gli propose un contratto con il Sant’Angelo di Venezia, non ci pensò due volte: lasciò la toga a Livorno e ritornò nella sua città natale. La sfida era piuttosto impegnativa – da contratto Goldoni aveva l’obbligo di fornire al teatro otto commedie l’anno – ma che la sua vocazione fosse quella lo si era capito quando, all’età di nemmeno quindici anni, il futuro commediografo era scappato dal collegio dei Gesuiti sulla barca di una compagnia di comici.

Dopo il Sant’Angelo fu la volta del teatro San Luca, finché nel 1762, quando ormai la fama delle sue commedie era giunta al di là delle Alpi, fu la prestigiosissima Comédie Italienne di Parigi a volerlo ‘scritturare’.
Lasciato il pubblico veneziano, Goldoni dovette però scontrarsi con un’amara sorpresa quando scoprì che ciò che i francesi volevano da lui altro non erano che proprio quegli spettacoli della più tradizionale Commedia dell’Arte da cui lui aveva cercato per tutta una vita di ‘emancipare’ la sua commedia.
Sostenendo la necessità di scrivere un copione vero per attori, e non un semplice canovaccio per maschere come Pulcinella o Pantalone, cercando di andare oltre stereotipi ormai divenuti volgari e anche un po’ noiosi per il pubblico, promuovendo nei suoi testi un realismo psicologico e sociale che permettesse al Teatro di diventare, in un certo senso, anche un modo e un mezzo per conoscere il Mondo. Portando in scena personaggi che non fossero semplici ‘tipi’ sempre uguali a se stessi, ma ‘caratteri’ simili alle persone reali, come l’intelligentissima e simpatica ‘locandiera’ Mirandolina.

A Parigi fu chiamato dal re in persona (Luigi XV) come insegnante di italiano per le figlie e dovette distaccarsi dall’amato teatro. Ormai malato e stanco, il vecchio commediografo sentì il bisogno di scrivere i Memoires, le sue memorie, forse spinto dall’esigenza di mettere un po’ ordine nel proprio passato. La stessa forse con cui il grande commediografo volle tentare di mettere ordine nel Mondo rappresentandolo, con un sorriso, a Teatro.