di Enzo Biffi
Caro Direttore…
Caro Fabrizio, una delle molte voci che gridano nel deserto è certamente anche questo giornale.
Lungo questa dozzina di anni dalla sua nascita, con pazienza e un po’ di fatica, abbiamo cercato di scovare sepolta sotto le dune, qualche rosa del deserto, lo stesso in cui ci siamo trovati a gridare.
Eppure anche noi, concentrati nella ricerca e nella difesa della nostra oasi di quiete e giustizia sociale, abbiamo probabilmente sottovalutato le scorribande di predoni che, nel mentre, diventavano i padroni, prima del deserto e poi del mondo intero.
Ce ne stavamo lì, tanto accecati dal sole da non vedere tutto quel torbido che ci è sembrato poi essere arrivato all’improvviso. Forse è stata la pigrizia di un occidente seduto su sé stesso, che dava per scontate le sue conquiste civili, che ci ha prima annullato, e poi sopraffatto.
Adesso siamo in panne, immobili e sgomenti nel riconoscerci, contemporanei e impotenti come già i nostri avi in passato, davanti ad un possibile disastro annunciato. Commentiamo balbettando, gli orrori e gli abusi perpetuati da poteri dispotici, increduli di dover ammettere che sono ormai realtà.

Non abbiamo le parole. I fatti le superano e si impongono con tale e veloce impeto che ci sorpassano di continuo. Adesso che non la possiamo più negare, la nube nera della grande storia, ci incombe addosso e ci fa paura; mentre sembrava così lontana.
Sgomenti dalle arroganze del nuovo potere, dalle ingiustizie giustificate, dalle violenze e dalle volgarità dalle quali ci credevamo indenni, per reazione e come un pugile suonato, alziamo la guardia e ci ritiriamo in difesa.
Così piano piano è il silenzio. Piano piano si lascia il ring agli altri, sempre più tronfi e vincenti.
Un amico di sempre mi dice che a lui resta solo l’esempio, i fatti e la testimonianza del fare. Credo abbia ragione. Ho sempre avuto ammirazione per le vite degli altri quando sono umili e quindi straordinarie.
Anonimato semplice quindi esemplare, di questo c’è bisogno. Dobbiamo nobilitare la nostra permanenza su questa terra, ostinandoci a credere nel valore dei piccoli gesti. Piccole azioni anche nascoste e invisibili ai più. Certo sembrerà la solita retorica della goccia nel mare, del seme da piantare, ma è l’unica risorsa (non scrivo arma apposta) che nessuno ci potrà mai levare.

Cercare di più, tendere al superiore, tornare ad ambire al sacro contrapposto al profano. Credo nella possibilità di un ossimoro: che esista una “sacro laico” che ci chiama, che ci invita a scegliere.
Sacro è rifiutare ogni forma di violenza, fisica, politica, economica, verbale.
Sacro è non cedere alla logica dei conflitti, anche disobbedendo, anche disertando.
Sacro è non difendere i propri privilegi, i propri interessi da ricchi.
Sacro è svuotare gli arsenali, chiamare la guerra col suo nome, avere empatia per i disperati, parteggiare per i deboli.
Sacro è dissacrare ogni credo che non rispetti ogni uomo.

Invece ci siamo arresi alla seduzione del profano, alle lusinghe del consumo, alla promessa del benessere dovuto per stato. Il peccato è stato credere acquisite per diritto le nostre democrazie liberali insieme alla troppa sicurezza in noi, e questo ci ha impedito di rinnovare la difesa dei valori fondamentali dandoli per scontati.
Siamo stati prigionieri della “sindrome del lettone”, di quando da bambini infilandoci in mezzo e mamma e papà, in quello stringerci ci sentivamo al riparo, cacciata via ogni paura. Lì in mezzo tutto si compiva, al caldo e al sicuro, per un sempre che era un’illusione.
Ci sentivamo in pace, e con noi il mondo. Ingenuità da bambini, chimera d’occidente.
Immagini da web