di Enzo Biffi
Mi capita, per la professione che svolgo, di inventare case prestigiose; grandi luoghi curati nei dettagli, scatole dorate e studiate nelle loro ergonomiche soluzioni, rifinite da tessuti e ospitanti famosi oggetti di design.
Qualche volta hanno giardini, altre volte parchi interi, silenzio di quiete e prospettive di siepi curate, fiori esotici e verde finto casuale.
Quasi sempre sono isolate e protette da vari tipi di allarmi e gli ospiti appaiono, prima di essere accolti, su piccoli schermi luminosi. Una volta riconosciuti, entrano.
Sono i castelli contemporanei, coi loro fossati, con le loro mura.
La signora osserva con aria triste la bocca di acciaio che macina il cemento di quello che resta della sua casa. Vedo i suoi occhi un po’ assenti e la sento mormorare parole amare –la mia casa che peccato- Li a fianco, l’autorità che ne ha ordinato la demolizione si sorprende; proprio non capisce.
Quelle case non erano più case ma cumuli di macerie, avanzi di degrado architettonico e umano, scarti di urbanistica e di civiltà. Demolirle resta l’unica cosa da fare, il giusto.
Ma alla signora si bagnano gli occhi per quella parete blu che sta per crollare, la stanza da letto rosa – dalla finestra piccola ci chiamavo mio figlio, ora ha trent’anni-. Sulle scale dalle pareti graffiate e dai muri a graffiti, ci sciamavano i bambini urlanti. -Passavano a gruppi, di porta in porta, di casa in casa e non ho mai saputo bene quanti figli ho cresciuto. Caffè ce n’è sempre stato per tutti e il profumo del sugo copriva l’odore acre dell’immondizia-.
Sono le grotte d’oggi, gonfie di umani, buie di notte e senza porte.
La casa è il luogo della memoria, accoglie le nostre vite e insieme a loro, gioie, dolori, contraddizioni e speranze. Ci crescono figli, ci muoiono amici, ci nascono amori e malattie.
Non ci importa il colore delle pareti, e quello che appare alzando gli occhi è lo stesso cielo per tutti. Ci leghiamo per sempre a quei muri, e il gioco di immaginar figure, è lieto passatempo, siano essi stucco veneziano o vecchie muffe.
Non ci spiegheremmo altrimenti il vivere, che non è sopravvivere, di milioni di individui accatastati in case a mucchi , povere di apparente armonia, ma ricche del segreto del vivere, che è incontro con l’altro, che è condivisione di odori e umori, che è mescolare genti, luoghi, esperienze e incontri.
Foto di Stefania Sangalli