Caso Cucchi: accusa di omicidio preterintezionale per tre carabinieri

Alessio Di Bernardo, Raffaele D’Alessandro e Francesco Tedesco sono i nomi dei tre carabinieri accusati  dalla Procura di Roma di omicidio preterintezionale nei confronti di Stefano Cucchi, 31 anni. Secondo il procuratore Giuseppe Pignatone e il sostituto procuratore Giovanni Musarò la notte del 15 ottobre 2009 con “schiaffi, pugni e calci, provocarono  una rovinosa caduta con impatto al suolo in regione sacrale” .

A otto anni dalla sua morte, dopo  tre processi e una pronuncia al processo di appello che aveva assolto tutti gli imputati, la procura chiede quindi di aprire un nuovo procedimento sulla morte del geometra romano.

“Non lo so come sarà la strada che ci aspetta –  dichiara soddisfatta Ilaria Cucchi – sicuramente  si parlerà  della verità, ovvero dell’omicidio di mio fratello Stefano.”

Si apre, dunque, un nuovo capitolo in questa contrastata vicenda. Cucchi venne arrestato dai tre carabinieri nella notte tra il 15 e il 16 ottobre del 2009  perché  in possesso  di 29 grammi di hashish, cocaina e antiepilettici. Venne portato alla Caserma Appia di Roma e lì, sarebbe stato  violente percosse fino a essere trasportato all’ospedale Pertini, dove morì sette giorni dopo. Con la chiusura  dell’inchiesta bis (aperta nel novembre del 2014) i tre carabinieri  torneranno in aula. Sarebbe stato il pestaggio la causa prima del decesso proprio secondo quanto  scritto  nella ricostruzione del sostituto procuratore Giovanni Musarò  che parla di  “tumefazioni ed ecchimosi, lesioni personali con esiti permanenti” e “una rovinosa caduta con impatto al suolo”.

Nel precedente processo erano state accusate (poi  assolte) dodici persone. Sei medici, tre infermieri e tre guardie carcerarie. I capi d’imputazione erano: abbandono d’incapace, abuso d’ufficio, favoreggiamento, falsità ideologica, lesioni e abuso di potere.

In un articolo   Giuliano Pisapia, ex sindaco di Milano, recensiva il libro di Carlo Bonini (Il corpo del reato, Feltrinelli), volume  dedicato alla morte di Stefano Cucchi. Un testo, in cui ovviamente manca di questa nuova notizia, ma che dà conto dei depistaggi, dell’omertà, delle bugie, degli atti falsificati del tentativo (in parte riuscito) di accusare la polizia penitenziaria. In questi otto anni dalla morte del geometra romano, fino a oggi –  dicono le sentenze dei processi non c’erano colpevoli. “Nessun responsabile – scrive Pisappia – per una morte così atroce.”

“Sembra un thriller, e invece è la storia vera di un ragazzo che, se solo fossero stati rispettati i suoi diritti, le garanzie che la nostra Costituzione e i nostri codici prevedono come “inviolabili”, sarebbe ancora vivo e potrebbe confermare quella verità che, solo ora, sta faticosamente emergendo”.

 

 

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