di Francesca Radaelli
26 ottobre 1939. È il giorno in cui viene posta la prima pietra di quella che, un anno dopo, sarà inaugurata come la Chiesa della Sacra Famiglia. Alla cerimonia ci sono tutti gli abitanti del quartiere. Presente anche l’arcivescovo di Milano, il cardinale Schuster.
Siamo a Monza. Anzi a Cederna. O meglio Cedernopoli, come era chiamato in origine il quartiere sviluppato intorno al cotonificio Cederna. Più che di quartiere si dovrebbe parlare di sobborgo. Anzi, un vero e proprio villaggio operaio, non troppo dissimile a quello di Crespi d’Adda o alla città industriale Olivetti di Ivrea. È lui il protagonista di questo post: un pezzo della storia di Monza.
L’area su cui sorgerà il quartiere fino alla metà dell’Ottocento era occupata da un villaggio di campagna comprendente una trentina di cascine e ville padronali, collegate tra loro, e con la città, da alcuni sentieri. Vi si conduceva una vita di contadini, che andava di pari passo con i ritmi della natura e delle stagioni.
Proprio qui nel 1904 l’imprenditore milanese Antonio Cederna decide di acquistare un terreno. Nel 1904 vi costruisce uno stabilimento tessile. Quattro anni dopo nasce una vera e propria fabbrica tessile, in cui vengono assunti circa un’ottantina di operai. Passano tre anni e gli affari vanno bene: nel censimento del 1911 l’azienda Filatura e Tessitura Cederna conta 620 addetti.
Negli anni 50 il Cotonificio raggiunge l’espansione massima: nelle tre sedi di Monza, Agrate Brianza e Milano Gratosoglio lavorano un totale di 2000 addetti. Di questi 901 sono impiegati nella fabbrica di Monza.
La fabbrica attira manodopera. Sempre di più. Aumentano le persone che si trasferiscono a Cederna e bisogna trovare alloggi per le famiglie dei lavoratori. E allora è l’azienda a prendere l’iniziativa: negli anni 20 iniziano a sorgere le prime abitazioni destinate agli operai e alle loro famiglie. Le nuove costruzioni mettono a disposizione dei lavoratori del cotonificio ben 900 locali. Sono abitazioni moderne, hanno al proprio interno una serie di servizi che all’epoca erano visti come dei veri e propri ‘lussi’: luce elettrica, acqua, gas. Non solo: ogni famiglia riceve in dotazione un piccolo terreno da coltivare a orto.
Il Cotonificio si occupa anche della costruzione di nuove strade. Vengono aperti i primi esercizi commerciali, sorge la Cooperativa di Consumo. Nel giro di qualche decennio la campagna cede il passo a una nuova realtà urbana: è nata ‘Cedernopoli’.
Il cotonificio ormai è passato sotto la guida di Vito Bellini, genero del fondatore Antonio Cederna. Lo stabilimento di Monza è diretto dal cavalier Napoleone Ripamonti, ricordato ancora oggi come un benefattore: è lui che decide di arricchire il rione, e la vita dei suoi abitanti, con una serie di servizi sociali e culturali. Si viene così a creare una città vera e propria, organizzata e autosufficiente. Nel 1928 vengono costruiti una scuola materna, un teatro e una piccola chiesa, la chiesa di San Francesco. Dopo la richiesta rivolta alla Curia di Milano, arriva persino un sacerdote, seguito dalle suore francescane di Gesù Bambino che si dedicano alla scuola materna.
Nel 1932 è la volta dell’inaugurazione del Dopolavoro: non solo l’edificio, ma anche giardino e bocciofila. L’idea è chiara e assomiglia a quelle degli imprenditori ‘illuminati’, alla Adriano Olivetti: offrire ai propri operai momenti di svago dopo la giornata lavorativa. Fare in modo che sia la fabbrica a promuovere il tempo libero, la cultura, i servizi sociali. È così che Cedernopoli si arricchisce di un corpo bandistico, una filodrammatica maschile e femminile, una squadra di calcio (G.S. Cederna). È così che nascono la biblioteca e la scuola di musica. Viene istituita persino una colonia montana, a Balisio, in val Sassina, in cui dipendenti e figli potevano trascorrere gratuitamente le loro ferie.
Nel quartiere del cotonificio nasce anche una scuola di taglio, cucito e ricamo.
Nel 1930 gli abitanti di Cedernopoli sono quasi 2.000. La piccola chiesa di S. Francesco non basta più. Si arriva all’autunno del 1939, all’evento da cui abbiamo iniziato a raccontare: la prima pietra della nuova chiesa, che fa scomodare persino il cardinale.
Nel secondo dopoguerra il quartiere continua a crescere, fino a raggiungere i 1200 abitanti nel 1969. Il cotonificio inizia ad attirare anche tanti lavoratori immigrati dal sud Italia.
Ora però non è più la direzione del cotonificio ad occuparsi della costruzione di nuove case. I tempi sono cambiati. Si sviluppa prima l’edilizia privata e, in un secondo momento, quella pubblica: è così che si forma l’agglomerato residenziale ancora oggi conosciuto come ‘Cantalupo’.
Il problema è che i tempi del Cavalier Ripamonti sono ormai passati e le strutture sociali e ricreative per i sempre più numerosi abitanti vengono strutturate a ritmi decisamente più lenti. Il Cotonificio resta il punto di riferimento e il polo attrattivo del quartiere, ma perde, a poco a poco, la forza propulsiva dei primi tempi.
Gradualmente l’azienda si distacca dal quartiere che lei stessa aveva creato, dove ormai risiedono anche persone che lavorano altrove. Si arriva così agli anni 70: la crisi del settore tessile. Il Cotonificio è costretto a mettere in vendita alcune delle storiche case operaie degli anni 20.
Quando infine l’azienda è costretta a chiudere, la storia di Cedernopoli è già finita da un pezzo.
Fotografie tratte dal sito della Comunità di San Francesco di Monza
1 novembre 2020